Torna “La Maga Barbara” con il riallestimento di Daniele Salvo e un eccezionale Franco Branciaroli.

Dal 24 ottobre al 5 novembre, il Teatro Quirino ospiterà Medea. Pietra miliare del teatro italiano, lo spettacolo del 1996, del compianto Luca Ronconi (scomparso nel 2015) torna ad inquietare il pubblico.

Si alza il sipario. C’è qualcosa di “stonato” sul palco. La nutrice che intona un canto straziante e carico di angoscia ha alle spalle due schermi: sul primo, un susseguirsi di paesaggi naturali, poco più indietro, sull’altro, immagini crude di un’operazione chirurgica.

Dove ci troviamo? L’ambientazione è insolita. Ci si aspetterebbe l’antica Grecia. Eppure, la scenografia è quella misera di un “basso”, che si trasforma in alcuni momenti in un logoro cinema di periferia. Un’enorme scala antincendio di colore giallo si staglia sul lato destro.

La minaccia “Medea”

Nelle note di regia di Luca Ronconi, la protagonista della tragedia non è più l’eroina combattuta tra il rancore per il proprio uomo e l’amore per i figli. Non è neanche l’antesignana del femminismo. Medea è un’autentica minaccia. “Una furia distruttrice”, stando alle parole di Branciaroli, che sta per abbattersi sui suoi figli. Sul pubblico. E questo pericolo è rappresentato in scena da una Medea uomo. “Medea dallo sguardo di toro” è il simbolo della lacerazione e del passaggio dalla propria terra di appartenenza (la Terra che l’ha nutrita, la famiglia che l’ha allevata) a una terra straniera. La Grecia e le sue regole. La Grecia e le sue contraddizioni. Qui, barbara e isolata, si ritrova Medea, tradita da Giasone. L’uomo per cui ha abbandonato e tradito la famiglia d’origine, l’uomo a cui ha salvato la vita e per cui ha sacrificato tutto. Proprio lui, Giasone, si appresta a sposare la figlia di Creonte, signore di Corinto, per garantirsi la successione al trono.

Una scena tratta dallo spettacolo “Medea”

Punire Giasone

È così che Medea decide di vendicarsi. Non può accettare, proprio lei, discendente di Helios (dio del Sole), l’onta della derisione. La cieca collera si trasforma in lucida macchinazione. Serve un piano perfetto capace di “colpire al cuore” l’arrogante Giasone. Ed è così che l’interpretazione incredibile di Franco Branciaroli traghetta lo spettatore verso l’irreparabile, valorizzando, al tempo stesso, l’ironia di Euripide. Battute – rese magnificamente dal protagonista – come ‘non sono un guaio, ma donna sì’, oppure ‘noi donne siamo incapaci di far del bene, ma espertissime in ogni genere di male’, si spiegano con il ricordo che nell’antica Grecia (e per diversi secoli a seguire) le parti femminili erano interpretate da uomini. Ma, probabilmente, persino lo strumento dell’ironia serve a confondere lo spettatore. A distoglierlo, per un attimo, dalla decisione atroce di Medea: lo sterminio. Della futura sposa di Giasone, di Creonte (colpevole di aver esiliato lei e i suoi figli) e soprattutto dei figli.

L’inganno

Aver spezzato con tanta superficialità il giuramento che lo legava alla principessa barbara, condanna Giasone (Alfonso Veneroso) a non veder crescere la propria prole. Lo spettatore lo sa fin dall’inizio. Medea lo afferma subdola verso la platea, sottovoce, per non farsi sentire dal coro. Un coro di donne che la circonda cantando, consolandola e sostenendola in alcune delle sue pretese ma ben all’oscuro delle feroci intenzioni della protagonista. Sì, perché Medea utilizza la sua femminilità come maschera per ottenere il favore del coro e come arma per accattivarsi le donne greche. In realtà, Medea è incredibilmente sola. La Maga barbara contro tutti e contro se stessa.

Un enigma indecifrabile

Sono passati secoli da quando Euripide scrisse Medea. Molte sono state le versioni e le interpretazioni di quest’opera disturbante e affascinante. Lo spettacolo di Ronconi, splendidamente recitato, forte di un ritmo coinvolgente e di un’ambientazione spaesante ma al contempo familiare, è assolutamente indispensabile per leggere l’opera in un’altra chiave. Diversa e inquietante. Permette di riflettere su un tema estremamente attuale: lo straniero che approda in una terra che si vanta di essere “civilizzata”. Ma c’è sempre un prezzo da pagare. Per Giasone, per Medea, per la Grecia e per noi.

Valeria Longo