La moda africana ha ispirato a lungo la moda occidentale e presenta oggi un progetto che mette in luce la riappropriazione culturale e l’invenzione di un linguaggio esclusivo per l’Africa. Da Cape Town ad Abidjan, e da Marrakech a Kigali, designer, fotografi, artisti visivi e blogger stanno dando forma a ciò che il sociologo senegalese Alioune Sall definisce “Rinascimento” nel suo libro Africa 2025: What Possible Futures for Sub-Saharan Africa?.

La moda africana come simbolo di libertà di espressione

La moda africana non è mai stata così al centro dell’attenzione come è accaduto negli ultimi anni. Presente nella settimana della moda a Parigi, Milano e New York, sfoggia capi di abbigliamento degni di nota, come nel caso della ballerina, performer, modella e stilista di alta moda del Camerun, Imane Ayissi, del designer designer Kenneth Ize o del brand THEBE MAGUGU, vincitore del Premio LVMH 2019 per i giovani stilisti.

Nell’ottimistico scenario presentato nel 2003 dal fondatore e direttore esecutivo dell’African Futures Institute, Sall scrive che tutto questo “permette alle società africane di guardare al loro passato sotto una luce positiva. Permette agli Africani di marcare il loro territorio. Permette loro di reinventarsi nel mondo del ventunesimo secolo”. Questa rinascita difende le culture africane, l’emancipazione del popolo africano, il panafricanismo e la libertà di espressione.

Selly Raby Kane. © Jean-Baptiste Joire.

A metà degli anni Sessanta, Londra divenne il palcoscenico di un nuovo stile di vita sullo sfondo di manifestazioni e liberazione sessuale. Protestando contro la bomba atomica e la guerra del Vietnam – movimento che si rifletteva anche nella musica pop – i giovani della città, la classe media e la classe operaia allo stesso modo, hanno infranto le regole della moda. Gli uomini indossavano pantaloni a vita bassa, stampe e colori psichedelici, mentre le donne sfoggiavano minigonne e acconciature create da Vidal Sassoon.

La Swinging London

Il fotografo di moda David Bailey immortalava la modella Twiggy e i club di King’s Road risuonavano al ritmo di Beatles, Who, Pink Floyd e Rolling Stones. Time dedicò il numero del 15 aprile 1966 al fermento creativo e la copertina della rivista insieme ad un articolo approfondito erano accompagnati dal titolo “London: The Swinging City” che non rappresentava solo una semplice “brama di vita”, ma si faceva portavoce di una vera e propria rivoluzione culturale.

I.AM.ISIGO (brand created by Bubu Ogisi), dress in tapa cloth from the “Supreme Higher Entity” collection, spring–summer 2020, modeled by Tatiana Sinon. Art direction, hair, and makeup: Bubu Ogisi. © Kader Diaby.

La Swinging Africa

Può sembrare inconcepibile paragonare una città a un continente, soprattutto considerando che l’Africa è troppo spesso percepita come un unico Paese, che l’Occidente tende ancora a vedere attraverso una lente eurocentrica. Uno spirito condiviso tuttavia, unisce gli eventi di Carnaby Street a quelli di Londra negli anni ’60 con i recenti sviluppi nel continente africano.

Stilisti e fotografi, designer tessili, truccatori e agitatori culturali contribuiscono tutti a dare forma a questa nuova “Swinging Africa” ​​la cui vibrante energia stupisce il mondo. Dopo tutto, la moda non è solo di natura sartoriale, ma è un mezzo di espressione per le società, le epoche e le persone.

C’è stato un tempo, ricorda Sall, “in cui i bambini che osavano parlare la lingua locale a scuola erano costretti a indossare un berretto da somaro” mentre ora l’app di Instagram è popolata da pagine che invitano le persone a #buyafrican o #wearanafricandesigner.

Lara Luciano

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