L’istituzione della Giornata nazionale contro la Pedofilia e la Pedopornografia, designata nel 2009 in Italia, è senza dubbio un’iniziativa essenziale, anche se una giornata non basta. Agnes, una ragazza di 23 anni, lo ha dimostrato raccontando a Vanityfair la sua storia. «Quando gli abusi sono iniziati era il 2010, avevo 12 anni – ha detto – Ero piccola, sapevo poco e nulla in merito alla sfera sessuale, e tutto quello che mi è capitato era nuovo e privo di senso. Gli abusi fisici sono durati circa 2 anni, mentre quello psicologico si è protratto fino alla denuncia». Una testimonianza, questa, che, in giornate come quella di oggi, serve principalmente da monito per chiunque cerchi la forza di denunciare, per chiunque non si renda conto di essere vittima di pedofilia, per tutti i genitori che non ne colgono i segnali. Perché quello della pedofilia è un tema raccapricciante che tocca da vicino i bambini quanto il mondo degli adulti, se si considera come questo fenomeno metta in evidenza la debolezza dei freni che poniamo a tutela dei minori e, in generale, delle generazioni future. Qualsiasi cosa si dica appare riduttiva per definizione. Una presa di posizione risulta in ogni caso tardiva rispetto allo sviluppo del problema, rispetto al numero dei casi. De Mause, uno degli studiosi più famosi della storia dell’infanzia, scrisse: “La storia dell’infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali”. Il bambino è infatti una figura del sociale scoperta di recente, tuttora scarsamente ricostruita nel suo passato silenzioso, misterioso, e difficilmente separato dal mondo dell’adulto. Non tanto per la mancanza di interesse nei confronti dell’infanzia, quanto per il modo in cui un adulto percepisce e rappresenta la propria relazione con essa.
Pedofilia di oggi e pederastia di ieri
È stato con l’evolversi di particolari discipline, quali la psicologia, la pedagogia, e il conseguente sviluppo del diritto, che il bambino può dirsi soggetto di relazione. Come si legge in “Innocenza violata. Storie, riflessioni, proposte per combattere la violenza sui (ai) minori”, di Caterina Fischetti, «Nell’antichità classica il bambino era considerato non un essere con un valore in sé, ma un essere menomato perché mancante delle doti di un adulto. L’infanzia era ritenuta un’età imperfetta e, per questo, era oggetto di autoritarismo vessatorio e di discipline oppressive». La cosiddetta pederastia contemplava pratiche che noi oggi descriveremmo come violenza sessuale. Dal greco pàis- “ragazzo” o, in senso lato, “figlio”, ed erastès- “amante” (la cui radice deriva da “eros”, pertanto “amore per i ragazzi”) il termine veniva usato per indicare una relazione di tipo, anche erotico/sessuale, tra una persona adulta e un adolescente. Il suo significato viene distinto da quello di pedofilia, poiché essa si riferisce al desiderio sessuale nei confronti di un bambino o una bambina impubere. Sono diversi gli antichisti che respingono il paragone tra la pedofilia di oggi e la pederastia dell’antichità (soprattutto greca), affermando che all’epoca la pederastia era integrata nella cultura della polis come vera e propria istituzione sociale. Tra l’altro, oggetto d’amore erano gli adolescenti, quelli già maturi sessualmente. Gli ateniesi di allora rivolgevano le loro attenzioni soltanto ai ragazzi puberi che però dovevano essere consenzienti. Il sesso con soggetti pre-puberi (pedofilia) era punito con condanne severe, fino alla pena di morte. Questioni certamente colme di contraddizioni che non mancano di suscitare qualche problema dal punto di vista morale e psicologico.
Mettere in evidenza le differenze non deve, tuttavia, renderci ciechi dinanzi le similarità delle diverse forme di erotismo. Che i bambini siano dalla notte dei tempi oggetto del desiderio degli adulti – di certi adulti – è un dato di fatto che certamente non ne sancisce la legittimità. Piuttosto segnala il ritardo con il quale l’allarme pedofilia è stato affrontato. È a partire dall’epoca moderna che il bambino diventa oggetto di maggiore interesse da parte di medici, filosofi, esperti, i quali portano il problema della tutela del bambino e dei suoi diritti a divenire tema di discussione dell’opinione pubblica. Quello che è avvenuto è identificabile come processo di “coscientizazzione” legato inevitabilmente ai cambiamenti sociali, a partire dal mutamento della struttura stessa della famiglia. La nascita della famiglia nucleare, composta da figli e genitori non sposati, ha portato ad una maggiore centralità del bambino. Una “visione puerocentrica” da cui deriva la creazione di un mondo fatto su misura dei bambini (giocattoli, abbigliamento, eccetera), culminato con l’organizzazione di istituzioni scolastiche pensate appositamente per lui. Nascono, altresì, istituti per orfani e bambini abbandonati in cui vivono in condizioni di disagio fisico e psichico. Ed è dai registri di questi istituti che emerge la gravità dei maltrattamenti subìti da piccoli, evidenziando un decesso ogni quattro ricoverati per abusi, incuria e violenze sessuali.
La nuova immagine che si ha del minore, come essere distinto dall’adulto, porta ad un cambiamento nei trattamenti pedagogici: mentre precedentemente l’educatore era spinto a rendere il bambino adulto il prima possibile, col tempo ci si concentra sull’importanza dell’infanzia. Alle punizioni corporali si preferisce un’azione educativa che porti il bambino ad interiorizzare norme sociali, principi e valori. Si sviluppa un atteggiamento di maggiore protezione da parte dei genitori, anch’esso non esente da evidenti contraddizioni, sfociate spesso in un eccessivo permissivismo. Ecco perché il fenomeno della pedofilia all’epoca non creava le reazioni che scatena oggi. La pedofilia era quasi un fatto di natura, a tratti “una prova” che bisognava superare per diventare presto adulti. Quando alla fine dell’Ottocento nacque la sessuologia medica-scientifica, la pedofilia veniva classificata tra le perversioni, ma non era particolarmente grave quanto, ad esempio, l’omosessualità. Oggi chiaramente le cose sono cambiate, seppure persista ancora qualche defaiance. La pedofilia non è tollerata neanche dalla delinquenza. Ragion per cui, in Italia e non solo, i pedofili sono isolati dagli altri prigionieri che, diversamente, riserverebbero loro lo stesso trattamento. Ed ad essere criminalizzato non è solo l’atto, ma il desiderio stesso. La pedopornografia oggi è infatti legalmente perseguita. In un’epoca in cui gran parte delle perversioni sono ormai sdoganate, il rigetto per la pedofilia è indiscusso. Quando si parla di sessualità con i minori non vale il criterio del “consenso” dei partecipanti. Se anche un bambino acconsentisse a “giochi sessuali”, l’atto pedofilo verrebbe condannato eticamente e giuridicamente. La pedofilia è una forma di parafilia considerata patologica, più che perversa. Una devianza che oggi è certamente mediata dallo strumento tecnologico, dal quale scaturisce la nascita di vere e proprie comunità di pedofili.
Ciò che va sottolineato è che l’identificazione del soggetto pedofilo non segue precisi standard. Spesso le ricerche mettono in luce un preciso dato, quello cioè che il pedofilo sia stato, a sua volta, abusato o molestato da bambino. Nella pederestia era la stessa cosa. Chi è stato eroménos prima, abitualmente diventa erastés poi. Come tratto comune tra il pederasta antico e il pedofilo moderno, emergono dunque i segni di un’identificazione narcisistica al proprio oggetto sessuale. Il pedofilo “moderno” spesso dice di ritrovare nel bambino concupito alcuni tratti di sé, che lo muovono a compassione e simpatia. Il pedofilo si identifica nel bambino che seduce. Esattamente come l’erastés greco che amava un giovane di buona famiglia come lui stesso era stato, e faceva al giovane quel che un altro aveva fatto a lui, innamorandosi, in un certo senso, della propria adolescenza attraverso l’altro. Eppure, come dichiarato in un’intervista a Vanityfair dalla psicoterapeuta e sessuologa Raffaella Visini, che conduce gruppi trattamentali in carcere con molestatori pedofili e stupratori: «Il pedofilo è una persona che ha impulsi sessuali nei confronti di minori, precisamente di età compresa tra i 5 e i 10 anni. Il molestatore potrebbe essere una persona che, nonostante abbia preferenze sessuali considerate “normali”, commetta anche solo una volta nella vita un reato di questo tipo». Ecco perché non è possibile, in realtà, delineare un vero e proprio profilo del pedofilo. Poiché disturbo indipendente dalla provenienza, classe sociale, età, così come da particolari psicopatologie. In tal senso, non è casuale il fenomeno del turismo sessuale, praticato ogni anno da ben «ottantamila italiani», ma di questi «solo il 5% di loro è davvero pedofilo, per gli altri si tratta “solo” di curiosità sessuale», spiega Visini.
Quello disegnato da Sos Telefono Azzurro Onlus è un quadro a dir poco drammatico, approfondito oggi, nella giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, per smuovere le coscienze, rompere il silenzio. Volgendo uno sguardo soprattutto agli adulti, genitori ed educatori in primis, affinché imparino a riconoscere situazioni preoccupanti e intervengano preventivamente. L’incontro “Dignità dei bambini e degli adolescenti al tempo del covid”, intende «promuovere il confronto tra istituzioni, media, esperti nazionali e internazionali, per rispondere al fenomeno di abusi sessuali in pericolosa crescita», cooperando anche nell’ambito della Child Dignity Alliance (alleanza istituita a seguito del Congresso del 2017 Child Dignity in the Digital World, volta a generare consapevolezza globale sul fenomeno del CSEA – child sexual exploitation and abuse).
In quest’ottica, la pandemia ha senza soprese amplificato il fenomeno. Privati della normale quotidianità, i bambini si sono ancorati alla rete, iniziando a tessere relazioni sui social network. Una “normale” socializzazione per i più, che tuttavia finisce per diventare pericolosa quando di fatto manca il controllo del genitore sull’accesso dei figli a Internet, esponendo i più piccoli ai rischi del web. Lo dimostrano i dati del Centro di Ascolto e Consulenza 1.96.96 di Telefono Azzurro che ha registrato una media di circa 6 casi al mese di abusi sessuali offline e 5 online (dati 2020). Mentre le rilevazioni del Servizio Emergenza Infanzia 114 evidenziano un incremento degli episodi di abuso sessuale sui minori, con una media di circa 8 casi gestiti al mese. Nel 91% dei casi i giovani denunciati per reati online sono maschi. Entrano nel circuito penale minorile principalmente per revenge porn: termine che in Italia suona familiare dal 2016, quando Tiziana Cantone si tolse la vita in seguito al video diffuso dal suo ex fidanzato online che la ritraeva mentre praticava sesso orale. Pedopornografia, adescamento online, cyberblussismo: ognuno di questi crimini coinvolge bambini di età inferiore ai 13 anni, con maggiore probabilità di sviluppare disturbi emotivi e comportamentali. Quello nei confronti dei minorenni assume infatti connotati diversi nei due sessi e anche a seconda dell’età in cui l’abuso viene subito, della ripetitività dello stesso e della familiarità con l’abusatore. Le conseguenze si rilevano a livello fisico quanto psichico, e possono essere evidenti nell’immediatezza del fatto così come a lungo termine, in particolare per l’insorgenza di disturbo post-traumatico da stress, disturbo borderline di personalità o stati dissociativi e molteplici patologie della sfera psichica. Solo nei primi 4 mesi del 2021 sono stati segnalati 52 casi in tutta Italia a fronte dei 41 dell’intero anno precedente. “La sfida più grande per noi adulti – ha dichiarato Ernesto Caffo, Presidente e Fondatore di Telefono Azzurro – è assicurare che i giovani abbiano un accesso sicuro alle tecnologie: il web infatti è frequentato anche da perpetratori e i bambini, specialmente i più vulnerabili, possono facilmente diventare preda di diversi tipi di abuso, come il sextortion, il revenge porn e l’adescamento online. I governi, il settore non-profit, le istituzioni, il mondo accademico e la società civile dovrebbero unire gli sforzi”.
Nonostante non rappresenti una realtà isolata, il fenomeno ha attratto l’attenzione mediatica e dei ricercatori solo nell’ultimo decennio. Quello della pedofilia è un tema sommerso e sottostimato. I numeri reali non si conoscono perché non tutti denunciano. «Ci sono però delle ricerche che ci danno un’idea – ha spiegato ancora Visini – studi americani hanno evidenziato che negli Stati Uniti in una famiglia su cento avviene un incesto. In un terzo dei casi rimane non denunciato. Tutto viene taciuto o nascosto per paura di ritorsioni o per il peso dello stigma sociale. In Italia, per esempio, gli psichiatri e gli psicologi incaricati di pubblico servizio sono tenuti dalla legge a denunciare la persona che confida l’abuso sessuale, motivo per cui molti non chiedono aiuto». Se è vero che la civiltà di qualunque società si misura dall’attenzione che dedica ai bambini, non solo per il loro valore intrinseco in quanto persone, ma anche perché rappresentano il futuro, la società del domani, allora è il caso di fare qualcosa. Di fronte ad un fenomeno che in alcuni momenti è parso totalmente fuori controllo, appare lecito supporre che anche gli scarni risultati conseguiti qua e là siano una goccia nel mare. Ecco perché giornate come queste devono diventare innanzitutto giornate di consapevolezza. E’ compito, non solo dei genitori, ma della società tutta proteggere i bambini.
Francesca Perrotta