I procuratori russi hanno dichiarato di aver designato la Clooney Foundation for Justice, un gruppo statunitense senza scopo di lucro, come un’organizzazione “indesiderata” per aver svolto un lavoro “su scala hollywoodiana” per screditare Mosca. Secondo Mosca la Fondazione “sostiene attivamente i falsi patrioti che hanno lasciato il Paese, i membri di associazioni estremiste vietate e organizzazioni terroristiche. Nascondendosi dietro idee umanitarie”, ha affermato la procura russa.
La Fondazione è stata fondata dall’attore George Clooney e da sua moglie, l’avvocato per i diritti umani Amal Clooney. L’etichetta “indesiderabile” è stata applicata a decine di gruppi stranieri. Oltre alle organizzazioni non-profit, la lista “indesiderabile” della Russia include organi di informazione, gruppi politici, culturali e religiosi che Mosca sostiene siano una minaccia per la sicurezza del Paese.
Non è la prima volta che la Fondazione Clooney si occupa della Russia, sempre per iniziative di advocacy dei diritti umani e civili. Aveva chiesto la liberazione di Mikhail Benyash, un avvocato specializzato nella difesa dei manifestanti anti-guerra e dei soldati che non volevano partire per il fronte, condannato al carcere per (diceva l’accusa) aver aggredito due poliziotti. O la liberazione di sette tatari di Crimea, condannati a lunghe detenzioni con l’accusa di militare in Hizb ut-Tahrir, un movimento fondamentalista islamico di stampo Isis, nato in Uzbekistan e bandito in Russia. In entrambi i casi, sostenendo che i processi non erano in linea con le norme del diritto internazionale. Cosa che, nella Russia militarizzata di oggi, non sarebbe sorprendente.
Quest’ultima iniziativa, invece, corrisponde perfettamente al clima di ordinaria isteria in cui l’Europa e i Paesi occidentali in genere si stanno adagiando. La paura, l’idea che il nemico sia alle porte, sono da sempre un ottimo sistema di governo e di controllo delle masse. Verrebbe da chiedere alla Neistat, e ancor più a “what else” George e alla signora Amal, se si sono mai accorti che anche da noi esistono “propagandisti di guerra”, giornalisti e operatori dei media che agitano in ogni modo la causa della guerra. Se sanno che le autorità dell’Unione Europea hanno finora bloccato una dozzina di media russi (nell’ultima tornata Izvestia, Rossiyskaya Gazeta, RIA Novosti ) e che il 14° pacchetto di sanzioni prevede anche il divieto di qualunque forma di finanziamento russo a partiti e Ong, proprio mentre ministri e politici europei di varia estrazione corrono in Georgia a sostenere chi manifesta contro la “legge sulla trasparenza”, quella che vorrebbe registrare le Ong che ricevono il 20% dei loro fondi dall’estero.