La Sirenetta è nera per la Disney, perché scoppia la polemica?

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Di Redazione Metropolitan

La bufera investe i Caraibi, ma in maniera figurata: al centro della polemica, la Sirenetta interpretata da Halle Bailey, attrice e cantante statunitense: per molti, un casting che ha compiuto una “scelta politica”, affidando a una donna nera un ruolo che nel cartone animato era bianco, anzi, bianchissimo.

Dopo due anni di attesa, il trailer del remake live-action della Sirenetta, presentato recentemente alla convention della Disney, D23, ha suscitato nuove, immancabili polemiche. I pulpiti da cui arrivano non possono che essere, in maniera particolarmente malcelata, razzisti. Nell’occhio del ciclone proprio Halle Bailey: la ventiduenne afroamericana sarebbe poco adatta per impersonare Ariel, protagonista del cartone tratto dalla celeberrima fiaba di Hans Christian Andersen.

Se il problema è la sirenetta nera, allora il vero problema è nell’immaginario della nostra infanzia

La scelta della Disney sarebbe un “attentato” all’immaginario dei fan, abituati a un personaggio rappresentato, nel cartone del 1989, come bianco e coi capelli rossi. Ma come rispondere a queste polemiche che, diciamocelo, sono più che sterili, e nascondono un problema latente con cui l’intero occidente dovrà, prima o poi, fare i conti? Djarah Kan, attivista italo-ghanese, ha dedicato un lungo post Instagram sulla vicenda. “Non voglio nemmeno ritornare sulla polemica di quanti, nel tentativo di nascondere il loro sincero e genuino fastidio razzista, si arrampichino sugli specchi improvvisandosi esperti del folklore danese o mitologia greca perché le sirene nel folklore africano, esistono”. Ma poi, anche se Andersen si fosse ispirato alle sirene greche, i veri fan della mitologia potrebbero obiettare che questa sirenetta non ha il corpo d’uccello.

Ha ragione Djarah Kan. Le polemiche nascono dal razzismo insito nella cultura occidentale ed eurocentrica. Il problema è che con questo razzismo non si vuole fare davvero i conti, soprattutto perché non è confinato nelle frange estreme del neofascismo. Tale razzismo è innestato nell’educazione, nel modo di raccontare la storia, nella definizione della “missione civilizzatrice” della civiltà europea. Il bias è forte, ma la decostruzione dello stesso è lunga e difficoltosa. Disney, la “multinazionale della nostalgia”, come la definisce Kan, è al centro delle polemiche. Ma la vera polemica si dovrebbe sollevare dalla società civile che è stanca del pregiudizio e del razzismo latente, che è ormai un’arma politica. Un’arma disgustosa, ma a tanto si è ridotto il discorso culturale del periodo che viviamo, con tutte le sue contraddizioni. Una società “aperta”, quella occidentale, che rimane tale solo per chi rientra nello standard della “bianchezza” e della normatività. La vera devianza, si dovrebbe sostenere, è questo spicciolo razzismo.

Alberto Alessi

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