Credeva più nel progresso che nella fede. Filantropia, utopia e realismo dell’autore di racconti e pièce teatrali tra le più conosciute del teatro russo di fine Ottocento
Lo scrittore Antòn P. Čechov nasce a Taganrog nel 1860, terzo di sei figli. Quando i profitti della drogheria di famiglia non permettono più gli studi ai figli, Antòn termina il ginnasio mantenendosi con le lezioni private che riesce a dare e a 19 anni prende su di sé la responsabilità della famiglia.
Studia medicina all’università di Mosca grazie a una borsa di studio e comincia scrivere racconti per dei giornali, permettendo ai fratelli più piccoli di studiare.
Inizia così la sua carriera di scrittore.
L’ispirazione per i suoi racconti è la realtà e riesce sempre a fondere i vari aspetti, tragici e comici che, come in un caleidoscopio, la vita propone.
L’immagine della società del suo tempo che ci presenta è sempre lucida e netta e segue sempre il principio di “ritrarre la vita così com’è, senza mentire a se stessi”.
È un realista e vede la possibilità di un miglioramento delle condizioni umane solo attraverso il lavoro.
In una società in cui è più facile parlare che fare, esalta il lavoro e condanna tutti gli oziosi e i parassiti che vivono grazie al lavoro altrui (e tante volte questo pensiero trova voce nelle sue opere!). Un lavoro che lui svolge come medico, prodigandosi gratuitamente a favore dei poveri ed offrendo il suo lavoro (e le medicine!) a chi non può permettersi cure adeguate.
Un lavoro che svolge come uomo comune, offrendosi di pagare le spese per scuole, strade e case di cura.
Un lavoro che svolge per diffondere la cultura pagando le spese per lo studio di giovani donne (che a quel tempo erano penalizzate).
Si dimostra, prima ancora che grande scrittore, grande uomo.
In contrapposizione a Tolstoj, lui crede nel progresso: “la ragione e il senso di giustizia mi dicono che c’è più amore per gli uomini nella forza elettrica e nel vapore che nella castità e nell’astenersi dal mangiar carne”.
Una fiducia nel futuro che lascerà come testamento nelle sue ultime opere, il racconto “La fidanzata” e la pièce “Il giardino dei ciliegi”.
Minato dalla tubercolosi, Čechov si spegne nel 1904, ma lo vogliamo ricordare con una battuta tratta da “Le tre sorelle”.
È Vierscinin a ricordarci che : “Fra due o trecento anni la vita sulla terra sarà così bella, così meravigliosa come non si può nemmeno immaginare. All’uomo è necessaria una vita simile e se per il momento non è possibile realizzarla, egli deve averne il presentimento, attenderla, sognarla”.
Alessandra Casanova
Anna Cavallo
Il giardino dei ciliegi della compagnia Kepler 452 con la partecipazione del cantante dello Stato Sociale, Lodo Guenzi , è andato in scena lo scorso autunno al teatro Rasi di Ravenna, per la cui recensione di MMI vi rimandiamo al link https://metropolitanmagazine.it/la-felicita-e-solo-in-comodato-duso/