«Lella» è una canzone che racconta una storia tragica di femminicidio. Scritta negli anni Settanta da Edoardo De Angelis e ripresa da vari cantanti, l’abbiamo ascoltata in molti.

La musica ed il ritornello sono gradevoli ma non sempre si pone attenzione al testo: «Te la ricordi Lella, quella ricca, la moje de Proietti er cravattaro, quello che cià il negozio su ar Tritone…». È la storia di una relazione clandestina e del bisogno liberatorio di rivelare l’omicidio di una donna che ha avuto la colpa di voler interrompere un rapporto diventato per lei indifferente.

Nel tragico paradigma del femminicidio sono declinati molti degli elementi presenti in questo motivo dialettale. La passione, gli incontri d’amore rubato, il desiderio che viene meno a causa della noia unito all’incapacità di un uomo abbandonato di accettare un rifiuto. Emerge il bisogno prepotente di condividere con un amico il segreto custodito per quattro anni che pesa come un macigno, raccontando che la bella moglie dello strozzino, mostrata come un trofeo, non si è allontanata con un uomo più ricco.

Si delinea la figura di una donna che conservava il fanciullesco pudore di non togliersi le calze, che tradiva con la disinvoltura di un uomo e decideva con identica libertà di non farlo più. Per questo era stata soffocata di fronte a quel mare dove i due amanti si incontravano clandestini, anche d’inverno, e seppellita sotto la sabbia, facendo attenzione solo a non sporcare il vestito. Quella che ascoltata distrattamente può sembrare solo una canzone, in realtà è una denuncia sociale ante litteram che racconta il più bieco degli omicidi, quello dell’uomo che uccide se stesso, assassinando ciò che Dio ha creato dalla sua costola.

So stato io ovvero Lella 50 anni dopo, per la regia di Carlo Roberti, insieme ai cantautori Edoardo De Angelis  e Stelio Gicca Palli, per la cura del giornalista Federico Guglielmi, è un documentario che raccontata la vera storia della prima canzone d’autore, la mitica Lella, che è diventata fenomeno popolare e di costume. Tanto da essere cantata negli stadi della Roma, quando gioca la Roma, quasi un inno, fino a diventare brano fisso nel repertorio di tanti altri artisti italiani che abbracciano diverse generazioni: da Antonello Venditti, a Edoardo Vianello, passando per Lando Fiorini, fino ai recenti Ardecore, Orchestraccia e Muro del Canto. Ma anche Paola Turci.

Un brano, nato nel 1969, da un fatto di cronaca nera e che per molti versi è una canzone contro il femminicidio. Un oscuro delitto di città che diventa una canzone di protesta e di lotta. Di bocca in bocca, di canzone in canzone. Un manifesto di musica d’autore assurta a rango di canzone popolare. Suonata da sempre anche nei falò accanto al fuoco. Il documentario, raccontato dai due storici autori e musicisti, De Angelis e Gicca Palli, narra anche la storia della censura che perseguitò la canzone fino al suo completo sdoganamento. E poi la vera storia del cravattaro e l’equivoco dietro la parola finalmente svelato. Il documentario verrà presentato in una grande serata il 4 dicembre, presso il club L’Asino che vola di Roma insieme ai tanti artisti che in questi 50 anni l’hanno cantata e vissuta. Più generazioni di artisti per la prima volta insieme a confronto. In questa occasione, Stelio Gicca Palli, uno dei due storici autori, presenterà anche il suo nuovo disco dal titolo Le frasi non dette in uscita per Materiali Musicali /Forward Music Italy.

La realtà quotidiana indossa le scarpe rosse che simboleggiano il sangue di tutte le martiri di femminicidio, utilizzate per la prima volta da Elina Chauvet nel 2012, per denunciare attraverso un’istallazione artistica l’assassinio di centinaia di donne rinvenute nel deserto della città messicana di Juarez.

Onorare la data del 25 novembre, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, significa ricordare tutte le donne vittime di femminicidio. Se la «Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne» sostanzia con un neologismo l’omicidio di una donna definendo un preciso crimine, l’Uomo, contravvenendo all’universale comandamento di «non uccidere», diviene indegno di se stesso.