Rascòl’nikov è il protagonista del romanzo ” Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskij.
Il romanziere russo nel raccontare le ore immediatamente successive di angoscia e di delirio che il giovane studente universitario, Rascòl’nikov, inizia a vivere dopo l’omicidio compiuto ai danni della vecchia usuraia, usa il punto di vista del personaggio.
E’ riduttivo affermare che Dostoevskij veste i panni del personaggio. Lo scrittore, con acume e compiendo un grande lavorio psicologico, entra nella coscienza del protagonista, riproduce e ripropone il punto di vista del personaggio, entra nella sua interiorità, nelle sue viscere, nel suo sub-conscio.
Sembra quasi che il lettore ,invece di leggere pagine scritte di un libro, stia leggendo i turbamenti dell’animo umano scritti non sulla pelle del misero universitario, ma bensì dentro al suo animus.
Usando le parole de Dostoevskij possiamo ben dire che:” il sentimento di distacco e di separazione dall’umanità, che egli ha provato subito dopo il delitto è il suo tormento.”
Raskòl’nikov trovandosi solo con se stesso, nella sua povera stanza d’affitto nelle ore che seguono quello scellerato delitto, deve iniziare a fare i conti con il suo “io- buono”, quella parte della sua persona che ora inizia a prendere consapevolezza dell’atto appena compiuto.
Cerca di reprimere con varie scuse, poco plausi libi, ciò che in un momento di delirante lucidità ha eseguito.
Giace per molto tempo sulla sua brandina sgangherata, di tanto in tanto gli sembra di svegliarsi , e solo in quei momenti inizia a capacitarsi del luogo in cui si trova e della notte che lo avvolge.
Il buio esistenziale che attanaglia il cuore dell’omicida, la sua inspiegabile solitudine, il fatto che non può condividere o comunicare a nessuno il suo segreto .
Il delitto appena consumato lo fa cadere in uno stato di torpore, di trance delirante, è come se un altro uomo entra nella sua coscienza e lo punzecchia come un tarlo.
All’inizio gli sembra quasi d’impazzire, viene sopraffatto da un “terribile freddo” causato anche dalla febbre che l’ha colpito durante le poche ore di sonno, rubate e confuse.
Il suo corpo è percorso da intensi brividi “ di freddo” che lo fanno vacillare . Cerca di alzarsi, per ritornare in contatto con la realtà, apre l’uscio di casa, si pone in ascolto ma un inusitato silenzio lo assale e pervade il suo essere.
Ha lasciato la porta di casa non chiusa col gancio, e se qualcuno fosse entrato e l’avesse “sorpreso”?
Quando la luce del giorno inizia ad entrare dalla finestra, lui comincia ad esaminare il suo vestiario per cercare di capire se un estraneo possa cogliere gli indizi della sua colpevolezza. Per ben tre volte compie questo esame, non fidandosi a pieno di se stesso. Una volta sfilato l vestiario pensa di ficcarlo in un buco, in basso, sotto la tappezzeria e poi colto da un improvviso terrore , inizia a chiedersi:”Dio mio!- mormorò disperato- che faccio mai? Forse che così è nascosto? Forse che così si nasconde la roba?”
L’uomo è analizzato al microscopio nei suoi aspetti più torbidi e surreali, in una lotta lacerante e ancestrale tra bene e male.
La punizione maggiore per questo colpevole non è quella di essere scoperto e condannato ai lavori forzati in Siberia.
Lui, momento dopo momento ,è costretto a espiare la sua pena con i suoi continui sensi di colpa. Solo quando incontrerà Sonja, per Raskòl’nikov inizierà la redenzione.
La miseria umana, il degrado dell’anima può subire un riscatto se c’è unione, comunione, comunicazione con un altro essere mortale?