L’arte ha varie forme. In un certo senso, anche gli spot pubblicitari sono arte. Lanciano mode o promuovono dei messaggi molte volte più profondi del solo pubblicizzare un prodotto. Delle volte, promuovono anche rivoluzioni sociali, allontanandosi sensibilmente dagli stereotipi della società odierna all’insegna dell’anticonformismo. Ma l’arte pubblicitaria è una risorsa da utilizzare con cautela.

Spot pubblicitari contro gli stereotipi

Non è mai semplice produrre uno spot pubblicitario che trasmetta un messaggio e contestualmente promuova il prodotto o il servizio oggetto dello spot. In un periodo di profondi cambiamenti come il biennio 2020-2022 in corso, anche i registi, gli sceneggiatori e le produzioni, tentano di dare spazio e voce a chi porta avanti battaglie sociali per il riconoscimento dei diritti propri, di genere o di non-genere.

L’arte è libertà di pensiero e uno spot – in quanto arte ‒ rappresenta questa libertà che va tutelata. Molte volte capita però di trovarsi davanti alla censura per lo stesso motivo. Non sempre la libertà nell’esprimere le proprie idee ottiene l’approvazione di associazioni o addirittura politica. Libertà, per lo stesso significato del termine, deve esserci senza condizioni senza subire accuse e censure che limitano la libertà anche di chi nuota controcorrente.

Non è necessario ed è addirittura irrispettoso molte volte schierarsi contro chi non approva o non condivide un determinato pensiero riportandolo in uno spot pubblicitario perché non conforme al pensiero comune.

Tra passato e presente

Moltissimi spot pubblicitari risalenti a qualche decennio fa oggi non avrebbero ottenuto un felice riscontro. Soprattutto quegli spot che esaltano la diversità, femminilizzando la figura della donna e mascolinizzando quella dell’uomo. Tra queste ne troviamo moltissime ad esempio nei profumi sponsorizzati nel decennio ’80-’90. Dei veri e propri capolavori con alle spalle registi blasonati e mega-produzioni non lontane da quelle cinematografiche.

Un profumo che esalta la figura dell’uomo tipica dello “sciupa femmine”, oggigiorno potrebbe trasformarsi in un vero e proprio incubo per la produzione e il regista, nonostante non ci sia stata l’intenzione di trasmettere un messaggio che non viene approvato dalla società. L’errore nel quale si incorre durante il trascorrere di anni ed epoche, nonché di mode, è quello appunto del conformismo che danneggia l’arte. Ne abbiamo un esempio palese osservando alcuni spot pubblicitari di quegli anni e confrontandoli con quelli odierni.

Giù le mani dall’arte pubblicitaria

Gli stereotipi si creano dal momento in cui entra in gioco l’opinione pubblica. Uno spot pubblicitario all’avanguardia, troverà sempre e comunque il favore di alcuni e la disapprovazione di altri, ma del resto, si parla sempre di arte. L’arte e le sue varie sfaccettature, non sempre vengono capite. Un ruolo fondamentale lo gioca l’epoca.

Ci si trova spesso a osservare qualcosa troppo avanti con i tempi, o che richiami il ricordo di un passato che fa storcere il naso a chi l’ha vissuto negativamente. L’errore più grave è limitare la libertà di trasmettere il proprio pensiero anche con la pubblicità che entra in casa e nella mente di miliardi di persone. Ben venga chi promuove l’arte pubblicitaria abbattendo gli stereotipi che rendono il mondo un noioso tran-tran senza colore e senza fantasia.

L’arte è arte perché ragiona fuori dagli schemi. L’imposizione di un modo di pensare obbligato, in qualunque senso e verso, danneggia l’arte e si corre il rischio di produrre nuovi stereotipi per abbattere i vecchi.