LGBT free zone in Europa: quando i diritti delle minoranze diventano una priorità?

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Di Rossella Papa

Mentre in Ungheria, in Polonia domina la retorica anti-gay, l’Europa in Parlamento si dichiara “LGBT free zone”; ma qual è il prezzo per cui i diritti delle minoranze diventino una priorità? 

Se ne parla ora come una bella presa di posizione, ma la storia precedente suggerisce come queste azioni in realtà siano intese a intimidire la società civile. E che siano tentativi pubblici di resa ben venga. E che non ci sia totalità di ideali è anche plausibile, ma che questo non consegui alcuna priorità nei diritti e nelle risoluzioni dei paesi ostili resta un problema. Esattamente come prima. 

Non ora, ma già da due anni in Polonia molte municipalità si sono dichiarate “LGBT free zone”, eppure in Ungheria la città di Nagykàta ha approvato una “risoluzione” (così viene intesa) che vieta la “diffusione e promozione della propaganda LGBTQ”.  Ma in questa condizione attuale la risposta dell’Ue si propone come denuncia o risoluzione? L’obiettivo è uno: condannare pubblicamente le forme di discriminazione (e quindi di violenza) fondate sul sesso o sull’orientamento sessuale delle persone. 

LGBT free zone: definiamo il progresso

Cerchiamo di focalizzare il progresso: non c’è? Ma intanto due paesi volontariamente si allontanano dai valori fondanti dell’Ue. Perché? Perché quelli che sono i diritti delle minoranze diventino i diritti di tutti. Comprese le proteste in Polonia contro l’aborto, l’indipendenza della magistratura o la libertà d’informazione. Il dissenso non riguarda solamente le categorie, ma l’ideale stesso del futuro dell’Europa. Ironica questa partita proprio all’alba dell’imminente Conferenza sul futuro dell’Europa. A un punto di rottura o di svolta, ma che sia l’occasione per dare voce all’esigenza di una prospettiva migliore. E che non sia migliore soltanto per le minoranze, ma per chi crede che il concetto di “zona libera” debba riguarda in ogni caso anche l’approccio stesso con cui diamo consenso alle tematiche di uguaglianza.

 Il Parlamento Ue ha dichiarato l’Europa «zona di libertà Lgbt»: ma è una rivoluzione? Che sia stata la larga maggioranza ad attestarlo è sicuramente una conquista, ma non una vittoria. Piuttosto una dichiarazione simbolica che in qualche modo tenta di contrapporsi e prendere le distanze dagli episodi ostili in Polonia e Ungheria. Sono i paesi in cui la comunità Lgbtiq – persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, non binarie, intersessuali e queer – vengono ancora discriminate. Risulta vano anche il pugno duro di Bruxelles, dove gli eurodeputati chiedono alla Commissione di far rispettare lo Stato di diritto, e questo include anche le procedure di infrazione, l’attivazione dell’articolo 7 del trattato Ue e la nuova clausola che protegge il bilancio dell’Ue. Ben si pensa, allora, di alzare la bandiera arcobaleno per tappezzare i titoli di giornali della parola “libertà”, per sentirsi perlomeno anche pubblicamente al passo. 

L’Italia “non discrimina” ma non “appoggia”?

Una denuncia plateale a voce alta basta a rendere una priorità i diritti delle minoranze, in un momento in cui ancora molti, come Lega e Fratelli d’Italia, votano contro l’iniziativa? Il rischio è che diventi il pretesto per sfruttare la questione LGBT – ancora una volta – per un tornaconto politico. Ben poco a che vedere con la “libertà” di qualsivoglia free zone. C’è chi condanna, a questo punto, l’Ue perchè pensa di strumentalizzare i diritti degli omossesuali “per attaccare Ungheria e Polonia”. 

Ma mentre la priorità resta nella legislazione – e sia mai che l’omofobia venga associata alla così detta “opposizione politica pacifica” – l’Italia resta ancora uno dei pochi paesi in Europa senza legge di tutela della comunità Lgbt. Ma sulla bilancia, piuttosto, sembra sempre che pesi più la malizia politica, perlomeno fino a quando non si arrivi come in Polonia a procedere con cause legali per zittire i dissensi? In Italia, d’altronde, siamo tutti più sereni quando per compensare all’elenco dei NO di opposizione, ci ricordano pur sempre che siamo “un paese che non discrimina”. 

Eppure, così labile la definizione di discriminazione, quando viene meno quella di consenso. L’Italia “non discrimina” ma non “appoggia”. Si ritiene aperta ma non proclama la libertà. Forse, mi consenta, un po’ la contraddizione che si cantava a Sanremo, “Questa è l’Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”?