Libero De Rienzo: “Per favore, Bart”

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Di Giorgia Lanciotti

Ci lasciava un anno fa l’attore napoletano e romano d’adozione, Libero De Rienzo. Aveva soltanto 44 anni ed era uno degli attori più talentuosi della sua generazione. “E sottovalutati” aggiungerebbe qualcuno. Ma se sottovalutare significa valutare una persona meno di quanto effettivamente vale, non è di Libero De Rienzo che stiamo parlando. Di lui, il talento nel comico e nel drammatico, la profonda naturalezza della sua recitazione, tutto abbiamo conosciuto e riconosciuto per ciò che valeva e che vale ancora, per il suo pregio immenso.

Esordi al cinema

libero de rienzo © lospecialegiornale

Libero De Rienzo esordì al cinema nel 1998, ma il vero successo arrivò con il ruolo di Bartolomeo, detto Bart, nell’opera prima di Marco Ponti del 2001, “Santa Maradona”. Libero qui interpreta un personaggio nichilista e ottimista al tempo stesso, caratterizzato da forti contrasti, positivo e negativo insieme. Bart è l’incarnazione della sua generazione, dei nati intorno alle metà degli anni 80 che all’alba del nuovo millennio si trovavano con una laurea in mano, spesso umanistica e inutile sul mercato, a barcamenarsi tra colloqui andati male e nullafacenza; vivendo di espedienti e mutuo soccorso, crisi esistenziali e cialtronerie.

In “Santa Maradona”, al fianco di Libero De Rienzo recitano anche un giovanissimo Stefano Accorsi nel ruolo del protagonista, Andrea, Mandala Tayde e Anita Caprioli nel decisivo ruolo di Dolores. A Libero la sua interpretazione valse numerosi riconoscimenti: dal David di Donatello nel 2002 come Miglior attore non protagonista, al premio al Festival Internazionale del Cinema di Mar del Plata, in Argentina, come Miglior attore.

Libero De Rienzo: i ruoli maggiori

Nel 2009 regalò al cinema una delle sue maggiori prove attoriali, interpretando il ruolo di Giancarlo Siani, il giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra nel 1985, nel film “Fortapàsc” di Marco Risi. L’interpretazione gli valse la candidatura come Miglior attore protagonista al David di Donatello del 2010.

Ma il suo talento sapeva compiersi ed esprimersi nel dramma come nella commedia. Dal 2014 partecipò alla trilogia “Smetto quando voglio” di Sydney Sibilia vestendo i panni di un ricercatore precario che, con altri nella sua stessa condizione, insieme, decidono di investire i loro saperi per creare una nuova droga. Ancora, dai tempi di Santa Maradona, lo troviamo a vivere di espedienti denunciando una situazione lavorativa, sociale e tristemente reale del nostro Paese.

Libero, l’uomo

Umano, profondamente umano, Libero de Rienzo dimostrò di esserlo attraverso i ruoli interpretati al cinema, ma anche nelle occasioni in cui gli era possibile parlare semplicemente come uomo. E così fu nel 2002, quando sul palco dei David ritirò il premio e volle dedicarlo a tutte le donne e gli uomini della Croce Rossa, richiamando l’attenzione di una mai scomponibile platea del cinema italiano sulla questione palestinese.

Ma anche più recentemente, nel 2021, quando in un intervento televisivo su Procida Capitale della Cultura 2022 aveva tenuto a sottolineare come la cultura non possa isolare l’individuo, ma anzi lo aiuti a creare condivisioni, reti, legami. E anche in quell’occasione non aveva mancato di raccontare personali esperienze di condivisione nelle carceri ed esempi di integrazione di immigrati nelle comunità italiane. Tutto raccontato con la naturalezza della sua voce, sempre così giovane, sincera, libera. La stessa con cui recitava, senza recitarli mai davvero, i monologhi di Bart. La sua teoria della precisione, le sue filosofie cialtrone sull’amore o la sregolatezza pura che non ha a che fare col genio e che, forse, era anche un po’ la sua.

La stessa voce che abbiamo avuto in testa anche mentre Elio Germano, lo scorso 3 agosto, leggeva una sceneggiatura inedita di Libero De Rienzo davanti al pubblico del Piccolo cinema America di Roma. «Guardati intorno, tutte queste persone muovono delle macchine. Io sono l’unico a dovere muovere me stesso. Attraverso di me e di quelli come me, tutte queste macchine diventano carne. E fa male, fa molto male». Daje Picchio!

Giorgia Lanciotti

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