Libia, la fabbrica della morte creata dall’UE

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Di Lorenzo Spizzirri

La settimana scorsa, complice il Festival di Sanremo, è passato quasi in sordina nell’opinione pubblica il quinto anniversario dell’accordo tra Italia e Libia per il contenimento dei flussi migratori.

L’accordo, firmato a suo tempo dal ministro dell’Interno Minniti (governo Gentiloni), prevedeva un cospicuo flusso di denaro e forniture di vario genere alla guardia costiera libica, tra cui motovedette, uniformi, attrezzature di comunicazione e tracciamento. Tutto doveva servire a mettere in piedi un sistema che permettesse di impedire ai migranti di partire dalla Libia e di raggiungere l’Italia.

Purtroppo, la guardia costiera libica in realtà non esiste. O meglio, non esiste nell’accezione che se ne ha in Occidente di un corpo come la Guardia Costiera, pubblici ufficiali sottoposti al controllo e alle leggi del proprio stato. In Libia, ciò che viene chiamato sulla stampa europea guardia costiera in realtà non è altro che l’equivalente di una banda di pirati, composta dai membri delle stesse milizie che controllano i centri di detenzione illegali per migranti e che manovrano di fatto tutte le leve dell’immigrazione clandestina.

Con il finanziamento italiano ed europeo (Oxfam Italia parla di circa un miliardo di euro in cinque anni solo per le casse nazionali), è stata messa in piedi dalle milizie una vera e propria industria basata sulle violazioni dei diritti umani e sulle torture contro i migranti.  

Come denunciato anche su queste pagine all’indomani della firma dell’accordo bilaterale tra Italia e Libia, che sarà poi seguito a stretto giro dall’accordo europeo siglato a Malta, il governo italiano era già consapevole di aver stretto un accordo con le milizie responsabili del traffico di esseri umani, e il patto non ha fatto altro che rafforzarle in questi cinque anni, dando loro denaro ed equipaggiamenti militari di buon livello. Le milizie controllano di fatto tutta la filiera dell’immigrazione: sono loro che mettono i migranti a caro prezzo su barche fatiscenti per affrontare il Mediterraneo, sono loro che compongono la pseudo guardia costiera che li riporta in Libia con la forza, sono sempre loro che gestiscono le prigioni in cui vengono tenuti una volta riportati a terra e nelle quali vengono torturati per costringerli a pagare un riscatto  per essere liberati. Una catena di montaggio degna di un mattatoio.

L’Unione Europea, allo stesso tempo, non può essere esclusa dalla responsabilità di quanto sta accadendo in Libia. Per mezzo della sua agenzia Frontex, tiene sotto stretta sorveglianza il Mediterraneo attraverso droni e aerei appositamente attrezzati per la ricerca di imbarcazioni in mare. Il passo successivo è la cooperazione con la cosiddetta guardia costiera libica per le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, spesso fornendo alle motovedette libiche la posizione precisa delle barche dei migranti in mare, in modo che possano andare a catturarli. Nonostante le smentite di Frontex, un’inchiesta internazionale condotta da Liberatìon, A.R.D. e Der Spiegel ha potuto documentare con certezza una ventina di casi in cui, nonostante i migranti fossero stati individuati da Frontex in prima battuta, si sia fatta intervenire la pseudo guardia costiera libica, prontamente avvisata dalla stessa agenzia europea in violazione del diritto internazionale e del suo stesso mandato.

La cosiddetta guardia costiera libica agisce nella più totale impunità: nei rari casi in cui i suoi capi vengono arrestati, tutto continua a scorrere come se niente fosse. Il caso di Abdel-Rahman al-Milad, comandante di una unità della guardia costiera di stanza a Zawiya, è esemplare in tal senso:  inserito nell’elenco delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per aver attaccato con armi da fuoco e fatto affondare barche cariche di migranti, è stato arrestato nell’ottobre 2020 dalle autorità libiche, che lo hanno poi rilasciato ad aprile 2021 per mancanza di prove. La pseudo guardia costiera, nel commentare il fatto, ha semplicemente citato i propri successi nel contrasto all’immigrazione clandestina.

Le navi delle ONG, le uniche che tentano di salvare vite in mare, sono state spesso oggetto di campagne mediatiche di discredito, nonché di inchieste giudiziarie (chiusesi tutte con archiviazioni) che hanno avuto come unico scopo quello di ostacolarne le operazioni di salvataggio. Ma il sospetto più forte, difficile da scacciare, è che la guerra contro le ONG sia stata messa in atto per impedire che esse potessero documentare quanto stesse realmente accadendo nel Mediterraneo con la complicità italiana ed europea. La stessa cosiddetta guardia costiera libica, attraverso un suo portavoce, ha chiesto più volte provocatoriamente come mai le ONG “gli abbiano dichiarato guerra”, quando piuttosto dovrebbero “cooperare con loro, se loro vogliono lavorare nell’interesse dei migranti”.

L’ONU continua a denunciare che la Libia non è un luogo sicuro in cui rimpatriare i migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo. Nel suo ultimo report, del 17 gennaio 2022, ha ribadito quanto già scritto nel settembre 2021: i migranti che vengono riportati in Libia sono in serio pericolo di vita, poiché vengono imprigionati a tempo indefinito, lasciati morire di fame e di stenti nei luoghi di detenzione, picchiati, torturati e abusati sessualmente. Tutto questo accade indistintamente a uomini, donne e bambini. Le milizie li tengono prigionieri per ottenere un riscatto o li sfruttano impiegandoli nei lavori più disparati come veri e propri schiavi, senza diritti e senza nessuna possibilità di fuga.

L’Italia e l’Unione Europea continuano però a fare orecchie da mercante in tal senso. E’ stato creato un sistema ombra di controllo e repressione dell’immigrazione, che esclude qualsiasi applicazione del diritto internazionale e di quegli stessi diritti umani di cui l’Unione Europea si è spesso fatta propugnatrice e paladina. Questo sistema ombra è nato per l’incapacità da parte dei singoli stati di contrastare la propaganda d’odio condotta dai vari movimenti di estrema destra contro i migranti, oltre che dal fallimento delle politiche di redistribuzione secondo quote percentuali dei migranti a livello continentale (fatte naufragare dall’opposizione dei paesi dell’Est, in particolare Polonia e Ungheria).

 L’Unione Europea non ha avuto gli strumenti giuridici e culturali per affrontare nel modo corretto il problema dell’immigrazione, ed ha preferito strizzare l’occhio alle idee xenofobe delle sue ali più estreme e violente. Ma per farlo ha dovuto mettere in piedi un complicato sistema che nel lungo periodo gli si ritorcerà contro. I governi, cedendo sull’immigrazione, hanno deciso di sottostare al ricatto propagandistico delle destre, le quali non faranno altro che rilanciare sempre la posta, in un gioco al rialzo dalle conseguenze imprevedibili.  La Libia ha assunto il ruolo di capro espiatorio nella narrazione sull’immigrazione, permettendo all’Europa di tenere nascosto alla maggioranza della sua popolazione ciò che essa stessa ha creato e messo a punto con accordi diplomatici, regolamenti opachi e mancanza di trasparenza sulle operazioni condotte nel Mediterraneo.

Ma non è ancora troppo tardi per invertire la rotta. Ora si ha la possibilità di non rinnovare questo accordo bilaterale (il Parlamento Italiano, entro novembre, può votare perché non venga rinnovato automaticamente alla sua scadenza, prevista a febbraio 2023), e l’Italia può dare un segnale all’Europa affinché venga interrotta l’inutile strage. Se se ne avrà la volontà politica.