Di recente in Italia si parla sempre più di linguaggio inclusivo di genere e non solo, anche a fronte dell’uso dello Schwa, il simbolo pensato per definire un gruppo misto di soggetti. Oggi con Brave cerchiamo di addentrarci nel vivo della questione insieme a voi.
LINGUAGGIO INCLUSIVO: DI COSA SI TRATTA DAVVERO?
Il dizionario Oxford Languages definisce l’inclusività come “la tendenza a estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto o la partecipazione ad un sistema o ad un’attività.”
Oggi la necessità di un linguaggio inclusivo è tutt’altro che una tendenza per assecondare il “politicamente corretto”, anzi è il simbolo che rappresenta la volontà di unire, di non discriminare nessuno.
L’obiettivo è quello di evitare discriminazioni di ogni tipo. Niente più questioni di genere, sesso, etnia e abilismo. Consapevolezza, empatia e rispetto sono il motore di questa esigenza che anima sempre di più attivisti e non solo.
Includere vorrebbe dire in sintesi rappresentare le differenze e le molteplicità, nel modo più corretto e rispettoso, lasciando spazio alle varie categorie e comunità.
LINGUAGGIO INCLUSIVO: GENERE, SESSO E FEMMINISMO
In Italia si parla di linguaggio inclusivo soprattutto per quanto riguarda le questioni di genere, con l’intento di scardinare le discriminazioni linguistiche scaturite dal sesso delle persone o dal loro orientamento sessuale, con particolare riferimento alla comunità LGBTQIA+. Questo perché il linguaggio inclusivo non fa uso di pregiudizi, non discrimina e non stigmatizza nessuna categoria.
Lo scopo è quello di sensibilizzare le persone e farle riflettere sull’uso della lingua, anche per quanto concerne le realtà della vita quotidiana. La scrittura inclusiva vuole accogliere tutte le sfumature dell’essere umano, lottando contro luoghi comuni e pregiudizi.
Alcuni esempi di linguaggio inclusivo riguardano l’uso del femminile per le professioni. Bisogna evitare di sfociare nel solito sessismo che da troppo tempo affligge il nostro paese, a livello grammaticale e non solo. L’amministratore Mario Rossi diventa così l’amministratrice Maria Rossi. Se ci si riferisce alla professione di una donna, è bene non identificarla solo con il suo nome/cognome, ma anche con il suo titolo (così come avviene da sempre per gli uomini), perché altrimenti se ne sminuirebbe la professionalità.
LINGUAGGIO INCLUSIVO: ETNIE E ABILISMO
Le categorie alle quali dovremmo adattare un linguaggio più inclusivo sono molteplici. Basti pensare alla recente questione della N-word legate alle etnie. In quest’ottica, sarebbe preferibile non utilizzare l’accezione “afro-americano” come termine ombrello poiché non identifica tutte le etnie. Meglio utilizzare aggettivi come “black” o “nero”. Il discorso andrebbe applicato anche agli stereotipi sbagliati che fanno parte della vita quotidiana. Riferirsi a qualcuno ad esempio con l’espressione “perché sei così pallida?” o “sei troppo chiara/bianca! ” potrebbe urtare la sensibilità di una persona albina, anche se sembra un innocuo modo di dire quotidiano.
Altro tema fondamentale è quello dell’abilismo che descrive le persone definendole solamente in base alla loro disabilità. Oltre alla questione delle barriere architettoniche infatti, uno dei principali settori che stigmatizza maggiormente le disabilità, anche se apparentemente non sembra, è proprio il linguaggio.
Cercare di parlare e scrivere tramite un linguaggio inclusivo richiede probabilmente tempo e pratica, poiché occorre andare oltre radicate convinzioni sociali che abbiamo malauguratamente assorbito. Resta fermo il fatto che usare il linguaggio inclusivo rappresenta un passo fondamentale per la crescita culturale e umana della comunità mondiale. E noi di Brave continueremo a parlarne!
Francesca Mazzini
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