Centinaia di auto retrò hanno percorso domenica le vie dell’Avana per manifestare contro l’embargo che continua da decenni a essere imposto dagli USA all’isola. Vetture asiatiche o dell’Est Europa, ridipinte con colori sgargianti, sono comuni nelle strade di Cuba, in cui l’impossibilità nel far arrivare mezzi nuovi deriva proprio dal veto statunitense. Così, quelle stesse auto, sventolando la bandiera bianca azzurra e rossa, si sono date appuntamento su Malecon – il grande viale che costeggia il mare habanero – per dire no al protrarsi del bloqueo. E’ un paese in estrema difficoltà, Cuba, che però sceglie di inviare i propri medici in aiuto a chi ne ha bisogno. “Medici, non bombe”, come diceva Fidel Castro: una promessa che rappresenta una filosofia per la Brigata medica internazionale Henry Reeve, per la quale “Mai Cuba avrebbe attuato attacchi armati preventivi contro altri paesi, ma sempre sarebbe stata disposta a inviare i suoi medici in qualunque angolo del mondo in cui fossero richiesti”. Un contributo rivelatosi fondamentale anche nella lotta al Covid-19, che l’ambasciatore di Cuba, Jose Carlos Rodriguez Ruiz, scandì in tre semplici parole, quando gli chiesero quale fosse il senso: Patria es humanidad. Detto fatto, perché la Brigata ha combattuto contro il Covid in almeno 22 Paesi, tra questi c’eravamo anche noi. Era il 22 marzo 2020 quando 53 medici arrivarono in Lombardia per aiutare i colleghi italiani alle prese con un’emergenza inedita. Gli “hermanos de Cuba” – come i lombardi li chiamarono affettuosamente per mesi – operarono presso l’ospedale da campo allestito dall’Esercito italiano, dando man forte al personale sanitario nella gestione dei pazienti affetti dal virus, e mostrando competenze maturate in contesti come l’epidemia di Ebola che si rivelarono estremamente preziose per i colleghi italiani, e per i pazienti. Che un paese povero, sotto embargo economico e commerciale da 61 anni, sia riuscito in questa impresa ha dell’incredibile, ma chi conosce la storia e i valori della Rivoluzione sa che non è poi così sorprendente.
Tanta solidarietà che tuttavia non ha prodotto altrettanti gesti d’amore e umanità, ma atti di “vassallaggio politico”. Come quello dell’Italia – in buona compagnia di altri paesi europei allineati agli Usa – che 5 giorni fa ha votato contro la risoluzione A/HRC/46/L.4 presentata dal Consiglio per i Diritti umani dell’Onu sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate da alcuni paesi contro altri. Sono stati Cina, Stato di Palestina e Azerbaijan – a nome del Movimento dei Paesi non allineati – a presentare il documento – intitolato The negative impact of unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights – attraverso cui si è espresso, fra le altre, “grande preoccupazione per l’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani”, gli stessi che non possono realizzarsi appieno laddove le persone non hanno accesso a beni e servizi di prima necessità a causa delle sanzioni economiche imposte da alcuni Paesi. La risoluzione è passata con 30 voti favorevoli, due astenuti e 15 contrari, tra cui il bel paese. Tra le sanzioni condannate vi sono anche quelle che vengono imposte a Stati come Cuba, Venenzuela, Siria, Iran. Paesi che si oppongono alla politica degli Usa e come tali diventano oggetto di provvedimenti che mettono in ginocchio salute ed economia insieme. A Cuba, in particolare, il bloqueo è stato rinnovato da 12 presidenti: solo Barck Obama provó a scalfirlo, chiedendo di “rimuovere le sanzioni” perché “per 50 anni l’embargo non aveva funzionato”, ma rimase inascoltato, e il suo successore lo inasprì ulteriormente con diversi provvedimenti, culminati nell’inserimento dell’isola nella black list degli sponsor del terrorismo. Già, perché a Cuba si rinfaccia di esportare terroristi, quando fino a prova contraria le uniche brigate dello Stato rivoluzionario sono quelle mediche. Attualmente è a lavoro per sviluppare cinque vaccini contro il Coronavirus prodotti dai ricercatori del Centro di Ingegneria genetica e Biotecnologia dell’Avana, insieme all’Istituto Finlay che, se approvati, verranno inviati anche ai paesi in via di sviluppo, estremamente in difficoltà nell’approvvigionamento dei fermaci contro il contagio. Eppure hanno a disposizione un unico spettrometro di massa dell’isola – acquistato 20 anni fa – imprescindibile per realizzare le analisi dei vaccini. Ma, come lo stesso dottore Guillen ha detto, è impossibile acquistarne uno nuovo o ottenere pezzi di ricambio proprio a causa delle sanzioni Usa.
Non solo: nell’isola oggi scarseggiano beni di prima necessità, medicinali compresi. Una situazione cui si sperava potesse andare incontro almeno l’ultimo presidente Usa, Joe Biden, se non altro per portare a termine quanto iniziato come vice di Obama. Invece neanche lui si è mostrato preoccupato: “La questione di Cuba non rappresenta una priorità (per la Casa bianca, ndr)”, ha detto. E tutto bene anche per il governo Draghi che, pur ringraziando per l’aiuto gratuito ricevuto un anno fa, vota contro la mozione di condanna delle sanzioni. Nelle farmacie dell’Avana potranno anche scarseggiare antibiotici, ma in Italia scarseggia umanità. Più pericoloso.
Francesca Perrotta