Cultura

L’odio

Interrompiamo il ciclo sulle indagini delle emozioni attraverso l’arte, per darvi un piccolo assaggio di odio e disperazione in un monologo triste e anche divertente, sotto certi punti di vista.

Odio te e la gente come te, la tua gente. Quelli del tuo paese (che sia con la pi maiuscola o minuscola non mi interessa!) li getterei tutti in un sacco gigantesco, lo richiuderei con un nodo da marinaio e lo dimenticherei in un deposito buio. Creerei un deposito per sacchi colmi di uomini e poi etichetterei tutti i sacchi e li metterei in ordine alfabetico, giusto per il gusto di farlo, pensando che un giorno qualcuno di quegli uomini possa tornarmi utile, burlando la mia mente con quella dolce bugia a cui nessuno crede: “Un giorno uscirai di nuovo da qua.” Non uscirete mai. Perché vi odio tutti, non siete degni di scorrazzare liberi per la strada. Fate solennemente schifo alla mia persona, che in fondo vorrebbe solo potersi sporcare le mani di sangue di tanto in tanto. Non chiedo molto, non voglio un deposito grande il mondo o sacchi delle dimensioni di una nazione mediocre. Vorrei una pistola carica e una coscienza consenziente al punto da incoraggiarmi a premere il grilletto su di te, essere infimo, sconosciuto e decadente.

Guardarmi spinge la mia mente al collasso, le mie membra alla putrefazione. Vorrei un po’ di droga, giusto una sniffata o due, oggi la dose era ridicola, ho dovuto dividerla con uno come me che dice di essere il mio uomo. E’ solo un ladro: perché non trovi lavoro e sei depresso devi buttarti in casa mia? Credo che sia un uomo qualunque, mi sono scordata dove ho messo le medicine per il mal di testa. Anfetamine, belle mie, dove siete?

Voglio un cane nero, digrignante, per poterlo lasciare libero e spaventare tutti i passanti. Odio le bambine stupide e i loro stupidi genitori che sanno solo evocare immagini trucide: gelati sciolti sul tavolo di vetro. Non si romperà, vero? Ho paura. Potrebbe scheggiarsi, un cristallo di ghiaccio potrebbe cadere pesante tra la melma dolce. TA-NA. Ucciderei quella bambina prima che possa uccidersi stupidamente, magari cadendo dal letto a castello… Ricorda di non fare capriole sul letto, mai più biciclette senza freni, non camminare sull’orlo di una vasca da bagno bagnata… Ti prego ammazzami tu, prima che lo possa fare io.

E’ doloroso morire. Morirei di congestione se ci riuscissi, posso solo sperare di condensare ciò che rimane nel mio trita-tutto. Butterò anche quello, come ho buttato tutto scegliendo di lasciarti sola. Da quel giorno odio ancora di più il mondo e me stessa, che dimentica tutto ma non il tuo viso senza sguardo. Dov’eri in quel momento? Non puoi sparire così, nel giro di un ora, lasciando il tuo corpo in balia di un uomo meschino e una ragazzina sciocca. Sciocca da far schifo ai vermi. Come puoi credere che un innamorato veda. Ero una innamorata romantica appena uscita dal come dell’adolescenza. Come pensavi che potessi salvarti? Perché hai scelto me per cullarti l’anima assorta? Eppure, continuo a credere che tu lo volessi fare…

Le contraddizioni sono nella testa, fuori l’immenso panorama soffoca il mio raziocinio.

Immagini e pensieri venite a me, riempitemi una volta per tutte, possedetemi fino a farmi godere. O si, vi voglio tutti. Inutili come siete, idealisti, più comunisti possibili, dai venite. Chiamatemi uomini! Possedetemi anche voi! Istituzioni: Smuovete la terra arida che alberga in me! Mobilitare le truppe: donna con rossetto ad ore undici. Prendi l’arco, sfila la freccia, mira, colpisci. Eccolo, si avvicina, lo mangerò per cena dopo averlo cucinato lentamente qualche mese. Devo chiedere al ragno che c’è nella mia cucina qualche consiglio sulla tessitura. Devo catturarlo prima che se ne renda conto. Butta giù lo sguardo, squallido pupillo di Dio: la tua intelligenza non è niente in confronto alla mia spregiudicatezza. Ti odio. Odio te e tutti quelli come te. Tutti sembrano essere come te. Riempire la giornata di vuoto.

SQUID. Topi enormi corrono sotto i nostri piedi finemente raccolti in scarpe nere laccate. Troiate belle grosse quelle. E io che ci stavo per cascare. Come cascano, i bambini dalle altalene riescono anche ad allungare la mano ed afferrare un ramo, se sono tempestivi. Appesi al ramo pesano l’enormità della vergogna che porta essere loro stessi. Un peso tale non potrebbe che indebolire la presa, ma loro non si schiodano, no, troppi lecca-lecca da assaggiare per la prima volta. Se non cadono appesi al ramo, faranno sicuramente cadere l’albero.

Non mentirmi anche tu, lasciami.

Sono sterile.

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