Il Loki dell’universo Marvel, magistralmente interpretato nel MCU da Tom Hiddleston, come del resto quello proveniente dalla mitologia, ma del quale ovviamente non abbiamo riscontri “visibili” sui quali basarci, è certamente un personaggio complesso, ma anche estremamente iconico, capace di rovesciare gli schemi, di sorprendere e “ingannare” addirittura stereotipi secolari.

Proprio per la sua eterogeneità ed imprevedibilità Loki è difficile da inquadrare in un’analisi, ma ciò che è certo è che dietro al personaggio si cela un universo di significati che pian piano la serie a lui dedicata, in onda sulla piattaforma Disney+, si promette di districare.

Partiamo dal principio: Loki è un Trickster

Trickster è un termine usato nelle scienze sociali per definire il cosiddetto “briccone divino” (aggettivo utilizzato da autori come Jung e Karèny). In pratica descrive quell’entità extraumana associata alla figura burlone, del mistificatore e dell’imbroglione. Se ci pensiamo bene sembra essere una parola nata proprio per descrivere il nostro caro Loki, anche se i tricksters sono presenti in molte altre mitologie sparse per il mondo. Il “modello Loki”, se così volessimo definirlo, è estremamente diffuso e possiamo trovarne traccia in luoghi diversissimi tra loro come l’Africa, la Grecia, la Scandinavia (ovviamente), il Giappone e in molte tribù indiane del Nord-America, come del resto in epoche distanti.

Risulta tuttavia limitativo ridurre un trickster a mero “caotico” (malvagio o neutrale che sia, utilizzando una terminologia cara al mondo di D&D) perché, approfondendone lo studio in maniera comparativa, si potrà notare come all’interno di queste figure convivano due anime in contraddizione. Ciò risulta evidente anche solo considerando come la Marvel, soprattutto nell’odierno Cinematic Universe, stia gestendo Loki, ancor di più se ci focalizziamo su opere recenti come Thor:RagnarokInfinity War e la serie a lui dedicata.  Il Trickster è un distruttore, ma anche creatore, infatti citando la ricostruzione che ne fa ad esempio uno studioso del calibro di Mircea Eliade del più noto delle mitologie del Nord-America, ossia il coyote, rileviamo come nonostante molte volte esso inganni gli uomini per il proprio piacere personale, in altrettanti casi svolga il ruolo dell’eroe civilizzatore che elargisce grandi doni all’umanità.

Una contraddizione vivente: il “primato” della cultura

Risulta chiaro come la contraddizione sia la caratteristica fondante del trickster, capace di convogliare su sé stesso contrasti apparentemente insanabili. Contrasti che nell’esempio del Loki marvelliano affondano radici addirittura in temi complicati come la razza e il genere:

  1. Loki è un Gigante di Giaccio che sceglie di mostrarsi come Asgardiano, perché? Perché è cresciuto come tale, sin da piccolo è stato immerso totalmente in quel contesto culturale al quale lui, nonostante spesso rivendichi in maniera strumentale le proprie vere origini, ambisce di continuo, tanto da mirare alla massima rappresentazione simbolica di Asgard, ossia il trono.
  2. [ALLERTA SPOILER] Loki è un personaggio ufficialmente genderfluid, che pertanto sceglie, almeno nella linea temporale a noi nota, di mostrarsi come maschio. Non a caso nella seconda puntata della serie a lui, anzi, a loro dedicata, viene splendidamente mostrata per la prima volt una scelta alternativa attraverso l’introduzione della “variante” Lady Loki.
Alcune versioni di Loki – Photo Credits: universocinematograficomarvel.it

La scelta di per sé rappresenta inequivocabilmente la vittoria della cultura su uno status naturale che l’ideologia comune considera, o almeno considerava in maniera egemonica, inviolabile e inalienabile: il dualismo. Pertanto se nasci bianco (in questo caso blu) e uomo, non puoi morire donna e di colore (in questo caso bianca). Loki supera tutto questo, almeno da un punto di vista simbolico. Per essere più precisi potremmo parlare di un primato della cultura sullo stereotipo culturale che abbiamo di una natura fondata sul dualismo binario.

Inganno o Liberazione?

Loki si mostra come desidera, questo è inequivocabile, tuttavia parliamo del Dio degli inganni, il quale fa delle illusioni il suo potere principale. La domanda è legittima: quanto manipola gli altri rispetto a quanto finisce per manipolare, anche involontariamente, sé stesso? 

Possiamo realmente considerarlo un simbolo di liberazione e libertà capace di porre in essere e normalizzare le contraddizioni e le complessità insite in ogni essere umano, in difesa di un’ideologia fondata finalmente sul rispetto della diversità o la sua stessa “natura” può essere in un attimo rigirata contro questi propostiti, etichettandoli come mera illusione passeggera? Come un bellissimo sogno, ma niente di più? Chissà… forse l’ultima puntata ci darà qualche risposta, ma soprattutto ci permetterà di formulare qualche altra domanda.

Intanto: clicca qui per la recensione del primo episodio della serie.

Dario Bettati

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