Long live The Crown: il ritratto che rende umana una regina  

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Di Arianna

La controversa The Crown, che da anni fa infuriare la famiglia reale, continuerà a sopravvivere nonostante la morte della Regina. Ma nel nostro immaginario, quasi sembra impossibile pensare The Crown senza Elisabetta II. Elisabetta II è entrata nella cultura pop con una miscela (quasi) perfetta di novità conservatrice, patriottismo e autoironia. È parte delle nostre storie, perché è stata lei stessa storia. E mai come The Crown, una serie aveva contribuito a plasmare l’idea del pubblico della Regina.

The Crown: la serie tv da 21 Emmy e il dramma di una Regina

Netflix The Crown

Inutile dire quanti Emmy abbia vinto, quanto successo abbia avuto in tutto il mondo. The Crown è entrato tra le mura top secret di Buckingham Palace e ha dato un significato alla distanza che c’è tra noi e la Royal Family. Ma Peter Morgan, il creatore della serie, ne sapeva abbastanza della famiglia reale, e solo lui poteva concederci un capolavoro simile. Morgan aveva già affrontato il tema in The Queen con Helen Mirren, e ci aveva già concesso un lato della Regina che nessun (perlomeno nessun comune mortale) aveva mai visto. Ma con The Queen, Morgan aveva solo scalfito la superficie. Con un accordo con Netflix da 100 milioni di sterline e un decennio più tardi, Morgan torna faccia a faccia con la Regina Elisabetta, e stavolta non utilizza mezze misure. La scommessa è all in. La partita comincia con Claire Foy e Elisabetta non è solo Elisabetta II, ma è Lilibet (e guai a chi la chiami così!). Sì, il simbolo nazionale per eccellenza è una ragazza che regina non sarebbe mai dovuta diventare. Una ragazza a cui mettono la corona di punto in bianco, dal destino travolto in poche ore.

Dare un nome al fascino inevitabile della corona

Il pubblico così ha una nuova occasione: può conoscere la “vera” storia. Il vero significato della frase “duty before self”, il  “dovere prima di se stessi”, sin dal primo momento della corona di Elisabetta. E Claire Foy la rappresenta egregiamente, portando a casa un Golden Globe, un Emmy e due premi Screen Actor Guide. Ma poi lo scettro passa, e il tempo scorre: Elisabetta è alle prese con la mezza età, la maternità e con le pressioni del dovere. E arriva Olivia Colman. L’attrice dichiara al The Guardian che incarnare una delle figure più iconiche della storia “è la cosa più pressante che abbia mai fatto”. E come darle torto. Nel suo cammino sono enormi gli ostacoli che deve affrontare, forse, quello più eclatante il capitolo Diana-Carlo-Camilla, il famoso matrimonio a tre. Quando Carlo, interpretato da un impeccabile Josh O’Connor, è costretto a sposare Diana, la perfetta Emma Corrin, The Crown entra nel vivo del dramma umano, e ci sembra (quasi per un attimo) di non guardare la storia della corona inglese, ma di una madre che cerca di controllare le sorti del figlio. È lì che sembra Elisabetta sembra umana, eppure restando stratega. The Crown ci insegna che cosa significa portare la corona. Il “duty”, il dovere, lo Stato, è al di sopra di ogni cosa. Non c’è spazio per una lacrima, non c’è spazio per l’empatia, per la comprensione dell’amore di Carlo per Camilla. Il “duty” è ben altro. E non è di certo appartenere alla famiglia reale che consente di essere privilegiati. Non ci sono lacrime nemmeno davanti alla morte.

È proprio di questa linea che stiamo parlando. Quella che The Crown è riuscita a scovare, e a darle un nome. La corona di Elisabetta che nessuno mai prima era riuscito a rappresentare. Lei è la sovrana per eccellenza, ed è questa eccellenza che le ha permesso di regnare per tutti questi anni.

Adesso The Crown riprenderà a novembre, dopo lo stop per i motivi noti a tutti. E non sappiamo effettivamente se Morgan vorrà imbarcarsi nella narrazione della morte della sovrana. Ma noi crediamo che The Crown non possa esistere senza Elisabetta. Forse perché, nel nostro immaginario, è Elisabetta la corona stessa.

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