Loredana Bertè: il rapporto con il padre, la violenza sessuale e l’amore

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Di Redazione Metropolitan

La vita sentimentale di Loredana Bertè è stata molto movimentata ed anche abbastanza sfortunata. L’artista è stata sposata due volte. Il primo marito della cantante è stato Roberto Berger, erede della famiglia proprietaria del marchio Hag. Dopo la fine della relazione durata 4 anni, è convolata a seconde nozze, nel 1989, con il famoso sportivo Björn Borg, ex numero uno del tennis mondiale. Un matrimonio molto discusso e naufragato a causa di forti incomprensioni caratteriali (lei ha sempre dichiarato di non essere stata mai accettata dalla famiglia del compagno).

Loredana decide di divorziare da Bjorn. Il suo dolore però aumenta esponenzialmente quando viene a sapere della morte della sorella. Mimì muore infatti in casa del padre, a cui si era avvicinata dopo 40 anni di lontananza. Quella sera prova a chiamare Loredana, ma lei non risponde al telefono e questa cosa la tormenterà tutta la vita.

Tutti parlano di suicidio, ma la Bertè non ci crede, per lei c’entra suo padre.

“Quando mi chiedono perchè sia così sicura che sia stata lui ad uccidere mia sorella, resto in silenzio, anche se avrei voglia di urlare. Lo so, è andata così. La scena me la sono immaginata tante volte. Lui che apre la porta, la trova a fumare una canna e inizia a picchiarla selvaggiamente. L’ha ammazzata di botte. Quando l’ho vista nella bara era piena di lividi”.

La musicista non ha mai avuto figli, un desiderio che avrebbe voluto esaudire e che oggi forse è diventato rimpianto: “Desideravo un figlio per lasciare qualcosa, oltre ai dischi. Non ho mai amato”. In passato ha anche avuto in flirt, da entrambi ammesso con Red Canzian, lo storico bassista dei Pooh, che ha dichiarato: “Cose di gioventù, avevamo venti anni”.

Loredana Bertè e il rapporto con il padre

Sono cresciuta con la regola del niente: niente giocattoli, niente bambole, niente regali. Niente di niente. – scrive l’autrice – Da piccola non mi voleva nessuno. Il mio migliore amico era un cane, Clito, che abbaiava a chiunque si avvicinasse. Io e Clito eravamo soli contro tutti. La sera ci sdraiavamo insieme nel letto e aspettavamo il nostro destino… Il padre a passi lenti attraversava il corridoio. “Nasconditi”, mi pregava Mimì, mentre lui superava il bagno, la cucina e il salone. Ero solo una bambina… Ma chi fosse veramente il padre e quali abissi nascondesse la nostra apparente normalità, io lo sapevo”.

Queste le parole di Loredana Berté sul padre deceduto: “Era il mostro che avanzava in silenzio. Era l’uomo nero delle favole. Era il cattivo, il vigliacco che chiudeva la porta per non rischiare che qualcuno lo vedesse. Il porco che aveva un fremito. Il bastardo che sentiva un lampo di piacere. Noi e lui. Soli finalmente. Avevo cinque anni, ero terrorizzata. In canottiera, il padre si metteva comodo e si toccava, nella nostra stanza. Io e Mimì eravamo sveglie, ma facevamo finta di dormire.”

La Bertè racconta una storia di non ordinario orrore, che trova come protagoniste lei, Leda, Domenica (detta Mimì, che sara poi nota come Mia Martini) e i loro genitori, entrambi insegnanti.

“La vita in famiglia era un inferno, – scrive ancora la Bertè – dove si professava una sola religione: la dittatura del padre. Lui odiava le donne, voleva un figlio maschio ad ogni costo. Il padre ha marchiato il nostro futuro come nei mattatoi si marchiano le vacche, ha pestato mia madre per farla abortire. “Un’altra figlia?”, diceva. E poi la picchiava come un animale. Una volta l’ha lasciata in una pozza di sangue nel bagno. L’ha presa a calci uccidendo il figlio maschio che tanto desiderava.”

Quando il padre se ne va di casa, Loredana Bertè racconta che la madre trascurava le figlie per dedicarsi a varie avventure.

A 18 anni Loredana è ancora vergine. Si trova a Torino e lavora in uno spettacolo con Rita Pavone. Conosce un giovane elegante, accetta la sua corte, ma la storia termina con uno stupro.

“Mi portò in un posto del c…, un orribile scantinato. Appena entrammo, chiuse la porta a doppia mandata. Provai ad uscire, ma mi riempì di cazzotti e di calci. Mi violentò, mi strappò i capelli, mi ridusse un cencio. Riuscii ad afferrare un vassoio, glielo spaccai in testa e quando fui all’aria aperta, tutta insanguinata, mi feci portare all’ospedale da un taci. Non denunciai quel pezzo di m… per timore che mia mamma mi desse il resto. Quell’episodio mi segnò, tanto che per quattro anni di uomini non ne volli più sapere.”