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Mahsa Amini: quando essere donne è uno stigma e non libertà

Un’ondata di proteste ha scosso l’Iran negli ultimi tempi. Tutto è iniziato il 16 settembre con la morte di Mahsa Amini, 22 anni, arrestata dalla polizia morale a Teheran e portata in un “centro di rieducazione” per non aver osservato le intransigenti regole statali che impongono alle donne di coprirsi i capelli con l’hijab.

Mahsa Amini: dalla sua morte al risveglio dell’Iran

Mahsa Amini proteste sul velo
Mahsa Amini proteste sul velo

Come riporta RaiNews24, la ragazza presentava ferite riconducibili a un pestaggio. Secondo i bollettini ufficiali di Stato, invece, la vittima sarebbe stata stroncata da un attacco di cuore.

Da quel momento in poi sono partite una serie di proteste, con richieste che vanno da maggiori libertà alla caduta del governo. Le manifestazioni hanno visto partecipare iraniani di tutte le età, etnie e generi, ma sono soprattutto i giovani a scendere in piazza. Le donne sono in prima fila, ma questa volta, anche gli uomini sono al fianco delle donne.

Le persone che stanno facendo la rivoluzione oggi non sono le stesse del passato. Si tratta di una generazione nuova. Una generazione di giovani più istruita grazie ad Internet e ai social network, con i quali hanno la possibilità di avere contatti con il resto del mondo e conoscere il patriarcato – e le conseguenze negative che esso porta -.

Sono tanti gli episodi accaduti dopo la morte della ragazza: donne che bruciano il velo e si tagliano i capelli in pubblico. I due ragazzi che si baciano, tra le macchine, durante la protesta. Le ragazze che rivolgono il dito medio alla foto dell’Ayatollah Khomeyni. Donne che gridano di “Donna, vita, libertà” e “Morte al dittatore’’.

Quando la squadra di calcio iraniana si è rifiutata di cantare l’inno nazionale

La squadra di calcio iraniana che si rifiuta di cantare l’inno nazionale alla Coppa del Mondo in Qatar il 21 novembre. Le cinque ragazze – in seguito arrestate – che postano un video su Tik Tok mentre ballano senza indossare l’hijab in occasione della Festa della Donna.  Oltre ai ricorrenti scioperi nelle scuole, nelle università e nei negozi.

Sebbene le donne abbiano già protestato pubblicamente in questi anni, i casi sono stati isolati. Non c’è stato nulla di paragonabile alla portata attuale.
Nel frattempo, le autorità stanno minimizzando le proteste, ma come citato in ”AffarInternazionali” queste non si fermano nonostante le sanguinose repressioni del governo.

La morte della giovane ragazza che è stata il catalizzatore dei disordini, si è convertita in un movimento più ampio in cui il popolo iraniano è malcontento della corruzione, disoccupazione che affligge il Paese, la disuguaglianza e l’oppressione dei cittadini da parte del regime.

Cos’è la polizia morale?

La polizia morale

Nel 2006 fu istituita la Gasht-e Ershad – la polizia morale – con il compito di far rispettare le leggi sul codice di abbigliamento islamico nei luoghi pubblici – prima invece venivano fatti rispettare in modo informale da altre forze dell’ordine -. Il nuovo corpo di polizia fu messo sotto il controllo del ministero della Cultura, che si occupa ancora oggi di “proteggere” l’etica e i valori iraniani. In Iran Indossare l’hijab è obbligatorio dal 1983. Secondo la legge iraniana, tutte le donne che hanno raggiunto la pubertà devono coprire il capo e indossare abiti larghi in pubblico. A scuola, le bambine devono indossare l’hijab a partire dall’età di sette anni. Le norme sociali iraniane si basano sull’interpretazione della Sharia islamica.
Quest’organo ha il potere di arrestare le donne non vestiste in modo consono e portarle in un centro correzionale, dove queste vengono istruite su come comportarsi e vestirsi e poi rilasciate il giorno stesso.

Tuttavia, la polizia morale non esiste esclusivamente in Iran. Altri Paesi islamici ne prevedono diverse connotazioni, in Malesia si chiama ‘’polizia religiosa”, in Arabia Saudita è conosciuta come ‘’Muṭawwiʿa’’. Tutte hanno lo stesso scopo: preservare la tradizione religiosa ed evitare le contaminazioni occidentali.

L’Iran prima della Rivoluzione e il simbolismo dell’hijab

Donne iraniane prima del 1979

Nel 1979, con la rivoluzione iraniana nota anche come la Rivoluzione islamica – un evento storico di grande rilevanza che portò alla caduta della dinastia Pahlavi sotto lo Shah Mohammad Reza Pahlavi – fu istituita la Repubblica islamica sotto l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, leader religioso sciita che unì diverse fazioni politiche e sociali con l’obiettivo di rovesciare la monarchia autoritaria e alla corruzione dello Shah.
Nel 1961, lo Shah avviò un programma di riforme noto come la “Rivoluzione Bianca”, che mirava a modernizzare l’Iran, in parte ispirato dall’amministrazione statunitense di John Kennedy, allora suo alleato.
Il programma prevedeva maggiori diritti per le donne, un rinnovo del programma educativo, assistenza sanitaria più efficiente e la privatizzazione delle industrie di stato. Ciononostante, questo programma favoriva solo un’elite vicina al monarca, creando disuguaglianze a un malcontento generale.

Il Paese non era pronto per questo processo di modernizzazione e fu accusato di essere ‘’Occidentalizzazione’’.

Mohammad Reza Pahlavi permise alle donne di poter scegliere se indossare o no il velo. Di fatto, il suo governo discriminava le donne che lo indossavano, escludendole da incarichi pubblici. Il velo, quindi, assunse un simbolo della lotta politica e non indossarlo divenne, paradossalmente, un simbolo di opposizione al suo regime.

Nel frattempo, emersero degli oppositori dai circoli intellettuali ed in seguito dal clero islamico, il cui maggior esponente l’ayatollah Khomeini, esperto di legge islamica costretto ad andare in esilio in Francia. Khomeini, accusava lo Shah di corruzione, nepotismo e di aver causato disparità tra l’elite e i ceti sociali meno abbienti. Durante il suo esilio, il rivoluzionario religioso sollecitava le proteste e le controllava in Francia. Le manifestazioni contro il regime raggiunsero l’apice con il “venerdì nero” del settembre 1978, in cui ci fu una strage di manifestanti a Teheran.

A dicembre, l’esercito si unì alle proteste, e costrinse lo Shah all’esilio negli Stati Uniti. Il potere fu temporaneamente assegnato a Shapour Baktiar, ma la nascita della Repubblica Islamica Iraniana il 1aprile 1979 diede inizio a una nuova fase per l’Iran sotto Khomeini.

Inizialmente, Khomeini mostrò la rivoluzione come un movimento islamista e antioccidentale, ma questo si convertì subito in un processo di islamizzazione del paese, che prevedeva l’introduzione di leggi islamiche nella vita politica, sociale ed economica. Vennero introdotte, ad esempio, leggi riguardanti il codice di abbigliamento, l’istruzione, la giustizia, la famiglia e il lavoro, basate sui principi dell’Islam.
Nel giro di pochi anni i conservatori rafforzarono il proprio potere, estirpando i moderati dal governo e dalle cariche pubbliche. Nel 1981 indossare il velo fu reso obbligatorio e poco dopo furono istituite delle pene corporali per le donne che non lo indossavano in pubblico.
Indossare il velo passò da essere un simbolo di libertà personale a un simbolo di oppressione del nuovo regime – marcando la contrapposizione tra il modello sociale e culturale occidentale e quello orientale -.

Il velo: simbolo dell’oppressione?

Donna che si taglia i capelli durante la protesta per Mahsa Amini

In Occidente, il velo è oggetto di discussione, in quanto sarebbe considerato l’emblema dell’estremismo islamico. In particolare, si discute sul suo essere o meno imposto dal Corano e se sia segno di libera scelta o di forzatura. Secondo la visione occidentale, il velo rappresenterebbe una negazione simbolica della donna e del suo ruolo nella società. È percepito come una costrizione che ne impedisce l’integrazione nella società.

Dal fronte islamico, indossare il velo è una pratica che rivendica la propria origine culturale e religiosa ed è una forma di protezione e di pudore. Di fatto ogni donna deve essere libera di decidere come vestirsi e la scelta di indossare o meno l’hijab non deve essere imposta dalla religione o dallo stato.

Tuttavia, l’urlo di libertà di queste donne va ben oltre il velo: le donne protestano per un sistema che decide per loro e decide che il futuro non è nelle loro mani. In una parte del mondo, essere donna è uno stigma. Essere donna diventa fondamento di ingiustizia, prevaricazione e limitazione dei diritti fondamentali. Quante volte le donne si sono viste negare il diritto delle proprie scelte, allo studio, all’espressione del proprio genere a causa degli uomini della rivoluzione?
Quanta violenza è stata motivata dai dogmi religiosi?

Se la morte può assumere un significato, questo risiede nel moto di ribellione che dilaga in tutto il Paese contro le leggi morali asfissianti. Ragazze e ragazzi che lottano per avere un Iran libero e democratico e chiedono di essere come i loro coetanei nel resto del mondo.
I cambiamenti sono già profondi e l’auspicio più grande è che questo si estenda ben oltre i confini. La percezione che gli altri hanno delle donne è cambiata, ma è ancora più significativa la consapevolezza che hanno loro di se stesse.

È ineccepibile dover temere di morire per esprimere la propria individualità, soprattutto per una semplice ciocca di capelli fuori posto.

Alessia Carofiglio

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