Esistono quegli artisti che ci hanno accompagnato per un pezzo di strada, magari in giovinezza, e che col passare del tempo abbiamo un po’ perso di vista. Ma ogni volta basta ascoltare le prime note di una delle loro canzoni per sentirci trasportati in un attimo in quei giorni e riprovare le stesse sensazioni. Manu Chao è il compagno di viaggio della nostra adolescenza e, anche se alla radio non passa più con la stessa frequenza di una volta, lui continua a portare il suo circo in giro per il mondo perché non è mai davvero desaparecido.

I Mano Negra
José Manuel Arturo Tomás Chao Ortega nasce a Parigi 59 anni fa (avete letto bene: 59!) da genitori spagnoli scappati in Francia per fuggire dalla dittatura di Francisco Franco. La casa, spesso frequentata da artisti che vi trovano ospitalità in fuga dalle dittature sudamericane, è l’ambiente ricco di stimoli nel quale Manu cresce ed inizia ad avvicinarsi alla musica. Nell’87, insieme al fratello, il cugino e altri amici, fonda i Mano Negra: gruppo che trae chiara ispirazione dal punk dei Clash, sia musicalmente che in quanto a tematiche.
I Mano Negra cantano in francese, inglese e spagnolo e, fondendo culture e stili differenti, coniano il termine Patchanka per indicare il proprio innovativo genere musicale: un mix di rock, ska, punk, raggae, rap, flamenko e salsa. Patchanka è anche il nome del disco di debutto. Dei loro 4 album, il più venduto è Puta’s fever che gli consente di aprire la turnè americana di Iggy Pop.
Le regole del mondo della musica statunitense non piacciono ai ragazzi che nel ’92 partono per un tour del Sud America a dir poco avventuroso: fra giorni in compagnia di guerriglieri colombiani, rocamboleschi viaggi in treno e scampati sequestri da parte di bande di narcotrafficanti. Nel ’95 il gruppo si scioglie.
Clandestino e la carriera solista
Solo voy con mi pena, Sola va mi condena
Correr es mi destino, Para burlar la ley
Perdido en el corazón De la grande Babylon
Me dicen el clandestino Por no llevar papel
Vado solo con il mio dolore, va sola la mia condanna
Correre è il mio destino, Per infrangere la legge
Perso nel cuore della grande Babilonia
Mi chiamano clandestino perchè non ho documenti
Dopo la fine dei Mano Negra, Manu pensa che la sua carriera sia finita e, sull’orlo della depressione, passa tre anni girando il Sud America, terra con la quale stringe un rapporto sempre più stretto, fino a pensare di poter mettere la sua musica al servizio di popolazioni che subiscono ingiustizie, facendo da cassa di risonanza alle loro cause.

Il 1998 è l’anno di Clandestino, il suo debutto solista, il cui tema predominante è appunto la figura del clandestino, costretto a scappare dal proprio paese per inseguire il sogno americano, attraverso il tunnel di Tijuana (Welcome to Tijuana è il brano sulla città messicana dai mille vizi, conosciuta come la porta per gli Stati Uniti). E il viaggio raccontato attraverso i luoghi di frontiera, come Tijuana e Gibilterra, è uno dei temi ricorrenti.
Anche in questo caso, Manu canta almeno in 8 lingue. I brani sono 16 e prevalgono i ritmi afrocubani, brasiliani e messicani. Menzione particolare merita la malinconica Desaparecido: probabilmente la più autobiografica, quella che maggiormente descrive il suo spirito libero che ha sempre bisogno di spostarsi e continuare il proprio viaggio.
Me llaman el desaparecido
Que cuando llega ya se ha ido
Volando vengo, volando voy
Deprisa deprisa a rumbo perdido
Cuando me buscan nunca estoy
Cuando me encuentran yo no soy
Mi chiamano lo scomparso
che quando arriva se n’è già andato
Volando vengo, volando me ne vado
Una veloce corsa a perdere
quando mi trovano non ci sono
quando mi incontrano non sono io
Clandestino vende 5 milioni di copie e diventa una pietra miliare della musica. Un album in grado di portare la canzone politica nel pop mondiale e fissare degli standard musicali, in seguito poi ripresi da molti artisti.
Manu Chao e l’impegno sociale e politico
Il grande successo ottenuto da Clandestino permette a Manu Chao di portare all’attenzione del pubblico di massa i temi che gli stanno a cuore e che saranno sempre presenti anche negli album successivi.
Partecipa a svariate iniziative per la difesa dei diritti civili e dell’ambiente. Prende parte al progetto Playing for Change. Nel 2001 partecipa al concerto contro il G8, sposando il pensiero antiglobalista. Nel 2015 è ancora in America Latina impegnato nella causa contro la Monsanto e gli OGM. Nello stesso anno pubblica sui suoi canali social un brevissimo brano a supporto del NO (Oxi) al referendum ellenico sui debiti nei confronti dell’Europa.
Nel 2019, con un anno di ritardo per il ventennale, esce in ristampa Clandestino. Il disco contiene tre inediti, fra i quali Bloody Bloody Border, un brano sulle condizioni di vita nei campi per migranti in Arizona.

L’ultimo dei ribelli
Gestire l’enorme successo non deve essere stato facile per uno come Manu Chao che da sempre rifiuta di scendere a compromessi con i grandi poteri economici che muovono anche il mercato della musica. Non ha mai accettato di sponsorizzare alcun prodotto. Persino quando una banca gli ha offerto un milione di dollari per usare la sua musica per una pubblicità, il cantante ha rifiutato. Ha sempre considerato la propria libertà senza prezzo, respingendo spesso cospicue offerte. Questa integrità fa di lui, secondo alcuni un cretino, secondo altri un idealista.
Di sicuro Manu Chao è un uomo libero e la sua libertà gli consente di suonare dove vuole e collaborare con chi vuole. Molto conosciuta è La vida es una tombola, canzone che ha scritto per il docu-film Maradona by Kusturica del 2008, non a caso una pellicola che ha per protagonista un altro ribelle per antonomasia.
“Sono un campionatore umano. Assorbo tutto senza rendermene conto e poi tiro fuori le sonorità più diverse. Non so più dire da dove vengano di preciso, se dal Brasile, dal Venezuela o dal Senegal”
E le sue scelte continuano a pagare: a 3 anni dal suo ultimo album di inediti (No solo en China hay Futuro), il Bob Dylan latinoamericano non smette di radunare folle oceaniche ai concerti (almeno fino a quando non è arrivata la pandemia a sparigliare le carte a tutti). Non sopporta i tour canonici in cui fai tappa in un posto e il giorno dopo sei già altrove. Lui ama passare qualche giorno nella stessa città, per conoscere le persone, salutare gli amici, che ha ormai sparsi in tutto il mondo, e suonare insieme a loro.
Manu Chao in Italia
Il cantante ha un buon rapporto anche col belpaese. In particolare, se gli si chiede dove sia il cuore dell’Italia, lui risponde ironico: “nella mozzarella di bufala!” e tornando alla musica riconosce in Renato Carosone un genio assoluto.
L’artista ha sempre avuto un grosso seguito in Italia. Ricordiamo i cinquantamila spettatori presenti al concerto all’Autodromo di Monza nel 2015, a sei anni dall’ultimo album di inediti.
E la sottoscritta ricorda il suo concerto del 31 agosto 2001 nella cornice di Piazza del Plebiscito a Napoli come uno dei più belli e divertenti ai quali abbia mai assistito, con un’improvvisa pioggia estiva ad amplificare l’unicità e l’allegria della serata.
I live di Manu Chao sono sempre una festa di colori e suoni, raccolti in ogni angolo del mondo e mixati insieme in una formula che resiste alle prove del tempo. Altro che desaparecido!
Emanuela Cristo