Martina Rossi: fu tentato stupro di gruppo

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Di Redazione Metropolitan

Si è concluso con una condanna a 3 anni ciascuno per tentato stupro di gruppo il processo sulla morte di Martina Rossi. La Corte di Appello del processo bis ha accolto le richieste dell’accusa, stabilendo che quella notte Martina fu veramente vittima di un tentato stupro da parte di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi.

Soddisfatto il procuratore generale, Luigi Bocciolini, che così ha commentato la sentenza emessa nel pomeriggio di oggi: “Esprimo soddisfazione per il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Firenze, che è in linea con la sentenza di condanna di primo grado e con il pronunciamento della Cassazione e al tempo stesso in linea con la realtà dei fatti. E’ stata riconosciuta la colpevolezza piena degli imputati”. Di diverso avviso l’avvocato di uno degli imutati, Stefano Buricchi, che ha già annunciato di voler ricorrere in Cassazione.

La vicenda

Nella notte tra il 2 e il 3 agosto 2011, Martina Rossi, che era in vacanza insieme ad amiche a Palma di Maiorca, sale nella camera dei due giovani perché nella sua stanza le compagne di viaggio erano in compagnia di altri ragazzi. All’alba Martina precipita dal balcone della stanza di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi. Come oggi ha riconosciuto la Corte d’Appello, la ragazza sarebbe accidentalmente caduta dalla terrazza di quella camera nel tentativo di sfuggire allo stupro dei due ragazzi. Martina avrebbe, infatti, tentato di passare nel terrazzo della camera adiacente a quella dei due imputati, ma sarebbe scivolata incontrando la morte. Questa ricostruzione è stata contraddetta dai legali dei due imputati secondo i quali Martina sarebbe caduta perché dopo aver fumato uno spinello avrebbe cercato di vomitare sporgendosi troppo dalla balaustra della camera o avrebbe compiuto molto semplicemente, un atto autolesionistico.

Le vicende processuali

L’inchiesta rapidamente archiviata dalle autorità spagnole e soltanto la caparbietà dei genitori di Martina, Bruno Rossi e Franca Murialdi, ha fatto sì che le indagini fossero riaperte in Italia. Il tribunale di Arezzo nel 2018 si era pronunciato in primo grado per la colpevolezza dei due indagati accusati di tentata violenza di gruppo e morte in conseguenza di altro reato. Nel 2020, l’accusa di morte in conseguenza di altro reato decade per prescrizione e i due imputati vengono prosciolti in appello. Tre mesi fa la Cassazione decreta che un nuovo processo d’appello debba svolgersi a Firenze adducendo come motivazione “incompletezza, manifesta illogicità e contradditorietà della sentenza”, che non avrebbe tenuto sistematicamente in conto l’intero quadro istruttorio. Oggi la condanna.

Le parole del padre di Martina

Dopo anni di incertezze e battaglie, Bruno Rossi, padre della giovane genovese, oggi si dice finalmente soddisfatto della sentenza e all’uscita del tribunale afferma: “Dicono che il sole vada ai belli ma oggi è andato anche ai giusti. Questa è la fine di un tentativo di fare del nuovo male a Martina. Ci hanno provato ma non ci sono riusciti. Il mio primo pensiero è andato a lei, ai suoi valori, a lei che non ha fatto niente e ha perso la vita”. Ha aggiunto che “occorre rivedere il rapporto fra giustizia e pena” e asserito con forza che “le donne devono essere più tutelate”. Per il padre di Martina “in questi processi chi ci rimette sono sempre i poveri. Se non fossimo stati economicamente all’altezza, non avremmo potuto fare un processo lungo 10 anni”. La madre, indignata per quanto sostenuto dal perito della difesa, lo psichiatra Aldo d’Arco, secondo cui la giovane avrebbe sofferto di un bipolarismo che l’avrebbe portata a togliersi la vita, aveva dichiarato: “Si è cercato di gettare fango su mia figlia senza neanche conoscerla, prendendo a pretesto una normale delusione amorosa di una ragazza di 18 anni”. Oggi finalmente i due genitori possono tirare un sospiro di sollievo: Martina ha finalmente ottenuto giustizia e la verità su quanto accadde quella notte è stata ristabilita.

Giulia Moretti