Benvenuti nell’universo femminile di LetteralMente Donna. Faremo un viaggio nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo alla scoperta di una grande scrittrice troppo a lungo dimenticata. Parleremo di miti gotici, di vite difficili, amori e ricordi laceranti. Abbiamo dedicato questa puntata a Mary Shelley e alle sue opere

“Vedevo -a occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta- il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla “cosa” che aveva messo insieme. Vedevo l’orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all’entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.”

Così Mary Shelley racconta nell’introduzione a “Frankenstein” la genesi di quello che è diventato un autentico mito gotico. Un incubo che generò uno dei mostri protagonisti di uno dei romanzi cult del genere horror per la quale questa scrittrice inglese è stata principalmente conosciuta almeno fino al 1970. In seguito sono state scoperte numerose opere di questa autrice che erano state dimenticate e che hanno contribuito a ricostruire la sua drammatica vita.

La poetica di Mary Shelley

Mary Shelley, fonte Freeda

“Mary Shelley è nata ed è vissuta nel sangue, e se è possibile usare una metafora squisitamente romantica, ha scritto con il sangue. Non il flusso vitale e furioso della vita, ma piuttosto un rivolo scuro, raggrumato, il rivolo che scivola via dal corpo e che conduce verso la morte”

Così scrive di Mary Shelley Patrizia Carrano nel suo libro “Le scandalose”. Parole che ci fanno comprendere pienamente quanto la poetica di questa donna abbia risentito della sua vita drammatica segnata già dalla tenera età dalla perdita della madre morta per partorirla. Ne deriva dunque un significato complesso che non si può ridurre al solo “Frankenstein” ma che abbraccia tutte le sue altre importanti opere recentemente riscoperte. Romanzi come “Matilda” e “Lodore” risentono fortemente di connotati autobiografici rivelanti il dramma vissuto da questa scrittrice. Una donna che ha sempre portato su di se i segni di un amore disperato per il marito e poeta Percy Shelley. L’apice di questo dolore lo tocca sicuramente con l’apocalittico romanzo “L’ultimo uomo” che narra di un’umanità distrutta da un epidemia di peste. Solo nel suo ultimo romanzo recentemente ripubblicato ed intitolato “Falkner” si nota un nuovo vento positivo con la Shelley che qui ci regala l’unica della sue eroine a trionfare sui drammi che la circondano.

Stefano Delle Cave