Un Metoo italiano è possibile. Nella giornata di ieri, lunedì 16 gennaio 2023, si è tenuta la conferenza stampa di Amleta. Grazie al lavoro del collettivo Amleta, nato nel 2021 per contrastare il divario e le discriminazioni di genere nel mondo dello spettacolo, sono state raccolte 223 denunce spontanee di violenza.
La conferenza è stata un momento di rottura, con lo scopo di alzare il sipario e abbattere un muro di silenzio o, per usare la metafora scelta da Amleta, di aprire le stanze di Barbablù. Nelle stanze non ci sono soltanto le donne, le attrici che hanno subito la violenza, ma anche i molestatori. Sono i loro nomi e cognomi che devono emergere, affinché nessun altro comportamento violento, manipolatorio e discriminante venga celato dietro la fama e il potere.
Abbattere il muro vuol dire anche creare una condizione di accoglienza delle denunce, come ricorda la senatrice Valeria Valente. Serve quindi creare discussione nella società civile e abbandonare la normalizzazione della violenza in ogni campo.
Amleta e il Metoo italiano: i dati delle denunce
Cosa c’è dietro le porte delle stanze di Barbablù? Dalle denunce emerge che su 223 casi di violenza solo 2 sono state esercitate da donne. Questo vuol dire che la quasi totalità degli abusanti è uomo. Non ci stupisce neanche “la presenza di alcuni casi di donne in posizione ancillare che facilitano o coprono gli abusi maschili” ha spiegato la presidente di Amleta Cinzia Spanò.
La violenza denunciata non riguarda soltanto le donne, anche gli uomini ne sono vittima. Su 223 casi analizzati però 207 vittime (97%) sono attrici o allieve attrici, alcune molto giovani. I numeri e le qualifiche degli abusatori sono invece così distribuiti:
- il 41,26% degli abusi sono commessi da registri;
- il 15,7% dai colleghi;
- il 6,28% dai produttori;
- il 5,38% dagli insegnanti;
- percentuali inferiori per casting director, manager, critici, giornalisti, tecnici e spettatori.
Si evidenza inoltre che i luoghi di lavoro dove avvengono le violenze sono set e teatri, dietro le quinte o anche sul palco durante gli spettacoli. Si aggiungono anche gli spazi privati come case e studi dove prove e provini vengono spostati al solo scopo di attuare gli abusi. Non mancano le accademie di teatro e i luoghi di formazione, dove le prime molestie e violenze servono a educare alla normalizzazione di queste.
“Spogliati e rilassati”: questo non è un provino
Luoghi più frequenti nei quali avvengono le violenze sono i provini, ma anche sul web sono numerose le chat a testimonianza delle molestie. Le attrici, e in una percentuale più piccola gli attori, si sentono rivolgere frasi come “teatro e recitazione sono solo perversioni sessuali“.
Questa retorica sessualizzante della professione viene utilizzata fin dalla formazione, come ricorda Spanò stessa. Sono proprio queste frasi ripetute nel tempo che portano le attrici a superare dei confini che non volevano superare. Sono parte di un sistema di manipolazione che abitua la donna alla violenza.
Se “una giovane attrice deve essere aperta a determinate esperienze” allora quanto le succederà sarà considerato normale, la denuncia sarà sempre un’esagerazione e un rischio per il proprio lavoro. Si vive così in un sistema che isola e fa vivere la vergogna alla vittima. A sovrastare ogni altro sentimento è però la paura, perché in un ambiente come quello spettacolo la violenza è doppia. Non c’è soltanto la paura di non essere credute, ma anche quella di non lavorare più.
Basta silenzio e normalizzazione: è il tempo del MeToo italiano
“Non capisco che senso abbia denunciare quando si sono accettati i compromessi“, dice Sandra Milo intervistata su La verità in merito al MeToo. La vita, secondo l’attrice, si regge sulla regola dello scambio. Milo dice semplicemente: “Si tratta di scelte”.
Ma non si tratta di scelte ed è tempo di affermarlo con forza. Si tratta di una discriminazione sistemica che passa attraverso un fenomeno di normalizzazione fin troppo noto in Italia. È lo stesso motivo per il quale il MeToo non attecchì sulla scia di quello statunitense. Come ricorda Laura Boldrini, in Italia c’è un equivoco: sessismo e misoginia sono considerati goliardia e sminuiti come gioco.
Serve fare un lavoro duplice, non soltanto normativo, ma anche di accoglienza delle denunce. Un lavoro prima di tutto culturale che stigmatizzi gli abusi, non giustifichi l’abusatore e non colpevolizzi le vittime. Il primo passo lo hanno fatto ancora una volta le vittime di violenza, ma sta alla narrazione degli eventi e all’accoglienza della società civile il lavoro di cambiare la narrazione da isolante ad accogliente.
Seguiteci su Google News
Articolo di Giorgia Bonamoneta