Il 10 Aprile 1991 si ricorda uno dei disastri più cruenti della storia recente; il traghetto Moby Prince, partito da Livorno e diretto a Olbia, si scontra con la petroliera Agip Abruzzo. Le circostante non sono mai state del tutto chiarite, creando un alone di mistero attorno a questo terribile incidente marittimo.

10 Aprile 1991, Moby Prince: un enigmatico disastro italiano

Sono passati trentuno anni da quel 10 Aprile del 1991, quando il traghetto Moby Prince stava per entrare nella scena di quello che, nel tempo, sarebbe poi stato considerato un misterioso disastro italiano. Sono le 22:25 di una sera di Aprile: la capitaneria di porto di Livorno registra una richiesta da aiuto; è il traghetto Moby Prince. Il marconista di bordo lancia il Mayday dal VHF portatile, e non dalla consueta postazione radio:

«Mayday, mayday, mayday! Moby Prince, Moby Prince, Moby Prince, mayday, mayday, mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Mayday, mayday, mayday, Moby Prince, siamo in collisione, ci serve aiuto!».

Come successivamente stabilito dal punto di ritrovo del cadavere, pare che al momento dell’impatto il marconista non si trovasse in sala radio. E’ l’inizio del disastro. L’impatto con la petroliera AGIP Abruzzo, a poche miglia al largo del porto della città, fu letale: il traghetto si incendiò all’istante. Una parte del petrolio fuoriuscito dalla cisterna n.7 dell’AGIP Abruzzo si riversò immediatamente in mare; un’altra parte investì la prua del traghetto. La produzione di scintille dovute allo sfregamento delle lamiere nelle navi, al momento dello scontro, fecero in modo che il petrolio prendesse fuoco rapidamente circondando e incendiando parte del Moby Prince. Nel disastro morirono 140 persone: solo una riuscì a salvarsi. Le circostanze di questa immane tragedia appaiono, tutt’ora, poco chiare; depistaggi, insabbiamenti e copiose testimonianze sulla presenza di navi militari, al momento dell’incidente, resero tortuosa l’investigazione.

I soccorsi e il processo

La richiesta di soccorso partì anche dalla AGIP Abruzzo. Nella confusione generale gli operatori della petroliera ripeterono alla capitaneria di essersi scontrati con una piccola imbarcazione, definendola una “bettolina”. I soccorsi si diressero, quindi, verso la petroliera mentre il traghetto Moby Prince procedeva la sua rotta avvolto fra fiamme e fumo, senza nessuno al comando. I soccorsi giunsero un’ora dopo, nel disastro più totale. L’unico superstite trovato vivo fu il mozzo Alessio Bertrand di appena 23 anni.

In seguito, furono imputati sia alcuni ufficiali dell’AGIP Abruzzo sia alcuni membri della capitaneria di porto di Livorno. Se i primi furono accusati di aver ancorato l’imbarcazione in un posto non idoneo alla sosta e di non aver attivato i segnali atti ad avvertire della presenza della nave in seguito alla nebbia, gli ufficiali della capitaneria furono accusati di aver condotto i soccorsi in modo maldestro; inefficienza e eccessiva lentezza condussero al disastro.

Il processo si concluse nel 1999 con un nulla di fatto: gli imputati furono assolti e i reati passati in prescrizione. Per anni i familiari delle vittime chiesero l’apertura del processo ma solo nel 2018 una prima commissione dichiarò la fallacia dell’inchiesta giudiziaria considerata, oltremodo, carente e con circostanze lacunose. Attualmente, invece, le indagini sono state riaperte sia dalla Procura di Livorno che da una nuova commissione d’inchiesta.

Stella Grillo

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