Nel 2017 un film ha fatto la sua piccola parte nella storia del cinema. Vincitore dell’Oscar al miglior film (che spicca tra le decine di riconoscimenti), Moonlight – Tre storie di una vita è la prima pellicola a tematica LGBT e la prima pellicola con un cast interamente afroamericano ad ottenere l’ambitissimo premio. Diretto da Barry Jenkins (Se la strada potesse parlare), e tratto dalla pièce In Moonlight Black Boys Look Blue, il film viene distribuito nel 2016 ed è subito un successo di pubblico e critica. La storia è quella di un bambino, poi adolescente, poi uomo costretto a vivere in una Miami malfamata e a convivere con la sua omosessualità.
L’altro film
Moonlight, una poesia su pellicola interpretata magistralmente da attori meravigliosi, è forse la produzione col più basso budget ad essere stata premiata dall’Academy (tra l’altro Brad Pitt contribuì a trovare i fondi). Ma la pellicola ha fatto parlare di sé anche per altri motivi. È infatti proprio questo il film protagonista del fatidico errore da Oscar. Nel momento più atteso della cerimonia più attesa dai cinefili di tutto il mondo, il premio al Miglior film viene assegnato a La La Land. Nel giro di pochi minuti è però chiaro che Warren Beatty e Faye Dunaway hanno letto il titolo sbagliato. E allora un cast incredulo viene chiamato a riversarsi sul palco del Dolby Theatre, mai stato così affollato.
Attori e portenti
Gli attori sono bravi tutti, a partire dai tre che interpretano il personaggio protagonista: Alex Hibbert, Ashton Sanders e Trevante Rhodes. Questi, tra l’altro, per volere di Jenkins, non si incontrarono mai durante le riprese. Ma nel cast, che include Mahershala Ali (Oscar al miglior attore non protagonista), una è stata particolarmente capace. La britannica Naomie Harris non poteva trattenersi negli Stati Uniti che per tre giorni, causa motivi burocratici. Questo quindi il tempo riservato al suo lavoro sul set. Impresa interessante, considerato anche che il personaggio della Harris invecchia di 15 anni nel corso della pellicola.
Seguici su MMI e Metropolitan cinema
Manuela Famà