Ha esordito sul grande schermo nel 1985 con il film “Witness – Il testimone” e ha all’attivo più di 50 film e 18 nomination nei principali festival internazionali. Questi sono solo alcuni dei numeri della carriera di Viggo Mortensen, che nonostante i grandi successi, all’età di 60 anni è riuscito ancora una volta a mettersi alla prova in un ruolo non semplice. Nel 2018, infatti, l’attore ha interpretato l’italo-americano Tony Vallelonga (Viggo Mortensen) nel film “Green Book”. Il film racconta la storia vera dell’amicizia tra Tony e il musicista afroamericano Don Shirley (Mahershala Ali) nell’America degli anni Sessanta. Sarà trasmesso stasera in TV in prima serata su Rai 1 alle 21,25.
Il film ha riscosso un grandissimo successo, aggiudicandosi tre premi Oscar nel 2019, tra cui Miglior Film, Miglior Attore non Protagonista per Mahershala Ali e Miglior Sceneggiatura Originale. Tra i candidati c’era anche Viggo, che però non si è aggiudicato la statuetta. Mortensen si è dichiarato molto fortunato di aver potuto prendere parte a questo progetto, perché gli ha permesso di conoscere la storia vera di Tony e della sua famiglia. L’attore ha raccontato che in un primo momento non sapeva se fosse adatto al ruolo, perché non essendo neanche di origini italiane, aveva paura di offendere qualcuno con la sua interpretazione. O semplicemente che qualcuno avrebbe pensato che ci fossero attori più adatti di lui per il ruolo.
Viggo Mortensen, la collaborazione con la famiglia Vallelonga e le critiche al film
L’attore ha dichiarato di aver ricevuto un grande aiuto nella preparazione del ruolo proprio dai Vallelonga. Il figlio di Tony infatti, Nick, è uno degli sceneggiatori del film, e lo ha portato a conoscere la famiglia. “Mi ha presentato tutta la famiglia. – ha raccontato Viggo in un’intervista – Foto, video, registrazioni: hanno condiviso davvero tutto con me. Compresa la catenina d’oro con l’immagine della Vergine Maria che portava Tony. E che ho indossato durante tutto il film.”. Mortensen ha inoltre aggiunto che, oltre ad aiutarlo nella ricostruzione della vita di Tony, Nick è stato con lui anche sul set.
Molto importante, nella frequentazione della famiglia Vallelonga, è stata soprattutto la possibilità di studiare le usanze, i modi di parlare e di muoversi dei protagonisti. Infatti la più grande paura di Mortensen era quella di riportare sul grande schermo la figura di un italo-americano troppo caricaturale. In questo dunque lo hanno aiutato Nick e la sua famiglia, ma l’attore dichiara di aver attinto molto anche dal suo bagaglio personale. “Molti sono anche i gesti che ho preso dai miei ricordi. Amici, figli o nipoti di italiani, che ho conosciuto essendo cresciuto in Argentina” ha dichiarato Viggo.
Viggo ha preso così tanto a cuore la storia di Tony e della sua amicizia con Don Shirley, che di fronte alle numerose critiche mosse al film, ha risposto con grande veemenza. Spesso in modo anche fin troppo colorito. Infatti in molti hanno definito il film “velatamente razzista” e fin troppo “politically correct”, apprezzando poco il fatto che a dirigere questa pellicola sia stato un regista bianco, Peter Farrelly. “Le critiche si basano su un mucchio di stronz*** per tornaconto personale e niente di più.” ha commentato Mortensen senza troppi giri di parole.
L’importanza di un film come “Green Book” oggi per Mortensen
“Siamo nel 1962 e in quegli anni gli afroamericani per viaggiare ‘sicuri’ avevano bisogno della cosiddetta “Bibbia del Black Travel. Il Negro Motorist Green-Book” pubblicato dal 1936 al 1966: ecco a cosa rimanda il titolo del nostro film” ha spiegato Mortensen in un’intervista. Qualcosa che ci sembra assurdo, ancora più assurdo se pensiamo al fatto che questo avveniva appena sessant’anni fa. Ma che, attraverso questo film, trova ancora una sua attualità. Infatti Viggo ha dichiarato che a suo parere quella raccontata da “Green Book” è una storia ancora molto attuale, “una storia del passato che può aiutarci a capire il presente”.
A suo parere il film di Peter Farrelly è speciale in quanto porta a riflettere su problemi ancora attuali, ma senza fare una lezione. Infatti il regista non dice mai allo spettatore cosa pensare o vedere di fronte ad una scena, ma lo invita semplicemente a seguirlo in questa vicenda reale. Un’operazione importantissima, soprattutto oggi, in un momento storico in cui intolleranza e razzismo assumono una nuova forma. “Oggi rispetto ad allora assistiamo all’ascesa di un populismo nazionalista che sembra voler negare agli altri il diritto di condividere lo spazio che occupiamo. – ha commentato Viggo – Sono cose pericolose, che vanno combattute. Fondamentalmente si tratta di ignoranza. E il modo migliore per combatterla è invitando le persone a capire e a condividere”. Proprio ciò che “Green Book” nelle sue due ore e dieci di film ha provato a fare con successo.
Paola Maria D’Agnone
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