“Mussolini” a Treviso: apologia o memoria storica? | Polemica su palazzo storico restaurato

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Di Redazione Metropolitan

“Mussolini” è ricomparso a sorpresa su un palazzo di Zenson Di Piave (Treviso) dopo un restauro. A ricomparire sono state infatti due immagini che lo raffigurano appartenenti al ventennio fascista. Chi ha restaurato il palazzo parla di aver voluto preservare le immagini per una questione di memoria storica, ma si è scatenata la polemica. E la politica e le sue retoriche non si sono fatte attendere.

Foto che ritrae "Mussolini" sul palazzo di Zenson Di Piave (Treviso)
Foto che ritrae “Mussolini” sul palazzo di Zenson Di Piave (Treviso)

Delle effigi di Benito Mussolini, appartenenti al ventennio fascista, sono ricomparse su un palazzo storico recentemente restaurato a Zenson Di Piave (Treviso). Chi ha restaurato il palazzo ha deciso di mantenerle per preservarle da un punto di vista storico. Subito però si è creata una polemica cavalcata anche dalle retoriche della politica.

Mussolini a Treviso è apologia di fascismo o memoria storica?

Quelle immagini, anche se meno visibili di adesso, c’erano sempre state. E tutto il paese sapeva che esistessero e che svettassero gloriose su quel palazzo. La polemica infatti semmai non è sorta riguardo la loro presenza, che non era mai stata contestata, ma riguardo alla scelta di mantenerle dopo il restauro. Questa scelta è stata considerata subito di cattivo gusto e si è parlato anche di apologia di fascismo per quelli che sono a tutti gli effetti dei reperti storici. Per quanto di una storia discutibile, violenta e criminale.

La politica ha subito cavalcato la notizia di questi “Mussolini” ora più visibili e minacciosi

Viviamo in un periodo storico dove la paura per il ritorno delle destre estreme l’ha fatta da padrone. Questo ha portato a un’accrescimento delle retoriche intorno a questi fenomeni, anche quando magari sarebbe stato meglio gestire le cose in modo diverso (come nel caso del cosplay da nazisti al Lucca Comics). Anche in questo caso infatti nessuno ha pensato al valore storico (e didattico e civico) di quelle effigi, concentrandosi solo sul fare politica con l’ennesimo vessillo a portata di mano.

Il sindaco del paese, Daniele Dalla Nese, ha commentato in modo saggio la vicenda, prendendo le distanze dal reato di apologia di fascismo:

«Sono diventato sindaco due anni fa e quel restauro è precedente. Più volte ho parlato con i titolari e la famiglia, che ha recuperato un edificio di cent’anni restaurandolo in modo fedele. Hanno voluto mantenerlo così com’era, non c’è apologia del fascismo, né istigazione all’odio o promozione di una determinata linea ideologica, è una ricostruzione storica. Mi dissocio ovviamente dall’immagine, non condivido quegli ideali, ma non vorrei che si montasse un caso sul nulla»

Il PD si è mostrato agguerrito, con delle buone motivazioni, nel caso in cui si trattasse di vera e propria apologia di fascismo

A differenza del sindaco però, che ha subito parlato di rispetto di un bene architettonico storico lontano da qualsiasi forma di apologia di fascismo, altri hanno colto l’occasione per mandare avanti le proprie ideologie (con buona pace di Slavoj Žižek).

«Quelle immagini ci riportano indietro a tempi oscuri. Rappresentano un’offesa ai valori della nostra storia in una terra che ha conosciuto bene la tragedia di una dittatura crudele e spietata» (dichiarazione di Giovanni Zorzi, segretario provinciale PD Treviso)

«Da molti anni, ormai, assistiamo a una sempre più insistente riscrittura della storia d’Italia e a ogni tipo di giustificazionismo nei confronti dell’ideologia fascista, della dittatura mussoliniana e delle innumerevoli malefatte risalenti a quel periodo storico come, ad esempio, gli omicidi e le incarcerazioni degli oppositori politici che si permettevano di contrastare il regimi, anche molti veneti tra cui Giacomo Matteotti. Si tratta di una politica di rimozione inaccettabile» (dichiarazione di Chiara Braga, capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Ambiente della Camera dei Deputati)

Circa la polemica sorta intorno a questo caso si parla già di portare la faccenda all’attenzione del Parlamento.

Il dubbio: in delle vecchie foto prese da Google Maps quei volti non appaiono

Alcuni hanno fatto serpeggiare il sospetto che quei volti in realtà non siano mai esistiti prima del restauro, ma che anzi sia stata una scelta quella di riprodurli. Questo deriverebbe dal fatto che cercando su Google Maps il palazzo, questi “Mussolini” non appaiano. Va anche detto che probabilmente questo dipende dalla censura che si attiva automaticamente circa i volti quando le immagini finiscono su Google Maps, ma il dubbio ha fatto parlare molto. Però, nella possibilità più valida che siano delle tracce storiche del ventennio fascista e del fascismo in generale, come dovremmo comportarci?

Conservare e preservare, non significa elogiare, significa ricordare e preservare la memoria di certi orrori

L’iconoclastia non ha mai fatto del bene a nessuno, anzi. Di solito è proprio quello che si dovrebbe cercare di evitare, perché cancellare i simboli, censurarli, evitando di spiegare perché debbano essere guardati con sospetto, genera i veri mostri. Dobbiamo serbare memoria delle cose e della storia, degli avvenimenti che hanno fatto di “noi” ciò che siamo. Cercherò di fare un esempio lontano, in modo che si capisca ciò che intendo. Noi abbiamo parecchi musei etnografici sparsi per il mondo, musei che entrano anche nel percorso del turista provetto che voglia visitare a pieno determinati luoghi. Quei musei sono pieni di materiali contestati, tanto che per quel che riguarda reperti ossei molti gruppi indigeni hanno avviato una procedura per ottenerne la restituzione.

E qua abbiamo parlato di corpi morti che rappresentano gli antenati di quegli indigeni, un concetto che può essere vicino a molti di noi. Insomma, tutti sappiamo cosa è un cimitero, tutti sappiamo cosa sono “i propri cari”, o i “propri parenti”, o la “propria storia”. All’interno di quei musei gran parte delle collezioni sono caratterizzate da oggetti ottenuti con violenza o non rispetto. Ci sono maschere rituali che sono state strappate di nascosto dai legittimi proprietari. Ci sono poi gli oggetti che come “souvenir” arrivavano dai mondi altri tramite la rete dei missionari o delle amministrazioni coloniali. Insomma, ricordano dei pezzi di storia intensi, ambigui, e anche dai tratti violenti.

Il Museo reale per l’Africa Centrale di Tervuren (Belgio) potrebbe darci qualche soluzione, se le immagini fossero considerate reperti storici del ventennio fascista

C’è un museo come questi, il Museo reale per l’Africa Centrale, a Tervuren, in Belgio. Questo museo è rimasto praticamente intatto, proprio perché doveva preservare una storia. Una storia scomoda magari, ma da ricordare (come tutte le storie). Quindi si è presa la decisione di farlo diventare “un museo di un museo”. Quel museo mostra come fosse percepito un museo etnografico e antropologico negli anni della sua fondazione. Questo concetto è ribadito e ribadito, continuamente, con le targhe presenti.

La questione dei “Mussolini” di Treviso potrebbe essere risolta con una targa. Una targa dalla profonda valenza civica, storica e – perché no – educativa. Questo varrebbe molto di più di mille retoriche sterili

Tutto questo ovviamente una volta che si sarà confermato il loro essere oggetto storico da preservare.

di Eleonora D’Agostino

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