Mutilazioni genitali femminili: 88mila le vittime in Italia

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Di Alessia Spensierato

Il 6 febbraio cade la Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili.  Stando alle ultime stime, in Italia vivono almeno 88mila donne vittima di mutilazioni genitali femminili, con tutti i gravi problemi fisici, funzionali, psicologici che ne derivano: “E i numeri in sono aumento”, denuncia il professor Francesco Stagno d’Alcontre, presidente Sicpre e professore ordinario di Chirurgia plastica all’Università di Messina e direttore della Scuola di specializzazione presso lo stesso ateneo.

In base ai dati diffusi dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) e dall’Unicef, nel mondo ammonterebbero ad almeno 200 milioni donne e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali. Nel 2023, circa 4,2 milioni di bambine e ragazze nel mondo sono a rischio di subire queste pratiche. Secondo l’Unfpa l’interruzione a causa del Covid delle attività di informazione e sensibilizzazione potrebbe portare a 2 milioni di casi in più di mutilazioni genitali femminili nel prossimo decennio.

Ancora eseguite in diverse aree del mondo, dall’Africa all’Indonesia, le mutilazioni genitali femminili sono riconosciute dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come una pratica contro i diritti umani. Possono avvenire nelle prime settimane di vita, durante l’infanzia o all’inizio della pubertà. E non sono tutte uguali. Quando si asporta il clitoride (in realtà una parte di esso) si parla di mutilazione di grado 1; quando oltre a questo si riducono o eliminano le piccole labbra si è di fronte a una mutilazione di grado 2; quando si aggiunge il restringimento dell’introito vaginale, la cosiddetta infibulazione, è stata praticata una mutilazione di grado 3 e 4, a seconda dell’estensione della sutura di chiusura.

Anche per i metodi rudimentali in cui solitamente avvengono, le mutilazioni genitali femminili sono spesso causa di gravi infezioni (possono anche portare alla morte) e di un’alterazione psichica temporanea o permanente, legata al trauma vissuto e ai disagi conseguenti. Per quanto riguarda la stragrande maggioranza delle vittime che vivono in Italia, la mutilazione avviene prima della migrazione oppure, nel caso delle seconde generazioni, in occasione di un viaggio nel Paese di origine.

Mutilazioni genitali femminili: parlarne in Italia con AMREF

Si tratta infatti di un fenomeno che abbraccia il vasto campo dell’autodeterminazione della donna, della violenza di genere, e nelle quali le donne soffrono di una schiacciante pressione sociale. E con il quale da 20 anni AMREF si confronta anche in Africa, dove è presente in Tanzania, Kenya, Etiopia, Malawi e Senegal nelle comunità formando e informando. E’ questo il terreno fertile dal quale partire» ıcontinua Torrente.

«Insomma la mutilazione genitale femminile è un problema di salute, di benessere sessuale e mentale e di marginalità sociale. Per contrastarlo AMREF lavora in Italia con i servizi pubblici e con le comunità straniere, portando avanti progetti solitamente biennali. Come sono configurati, quante persone riescono a. raggiungere, dipende quindi, dal taglio dei bandi e dalla consistenza dei finanziamenti» spiega Renata Torrente. «Nell’ultimo biennio ci siamo focalizzati in particolare sulla formazione degli operatori dei servizi pubblici. Lo scopo? Rendere attenti alle modalità più efficace di offrire assistenza. Ma anche di prevenire il ripetersi di queste pratiche tra le giovanissime, anche quelle nate e cresciute nel nostro paese. Gli operatori pubblici che incontrano le donne delle comunità africane, a diverso titolo, dai ginecologi e le ginecologhe a gli si occupa di assistenza sociale o dei minori, o in ambito legale, nei centri regionali e dei comuni, va informato sul tema delle mutilazione genitale femminile, sulla legislazione, che in Italia proibisce questa pratica. E anche formato sull’approccio adeguato alla questione quando si tratta di incontrare singoli o rappresentanze delle comunità». 

Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio sulla mutilazione genitale femminile dell’Università Bicocca, del 2019 sono 87600 le donne che sono portatrici della mutilazione nel nostro Paese. Di queste  7600 sono minorenni. 4600 le bambine a rischio in Italia o nei viaggi di vacanza di ritorno ai paesi di origine. In Italia la resecazione è praticata in modo clandestino, come in altri Paesi Europei come Francia Germania, Regno Unito… Il progetto a cui stiamo lavorando si è sviluppato a Roma Torino Milano, Padova, con incontri a volte a distanza a volte in presenza. Hanno partecipato gruppi eterogenei di persone che lavorano in vari settori, da quello sanitario a quello dell’assistenza sociale e legale, alla salute mentale.