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Ottobre 22, 2024, martedì

Myanmar, donne e LGBT+: «Dobbiamo vincere questa volta»

Fin dal primo giorno del colpo di Stato in Myanmar le comunità femminili e LGBTQ+ non hanno smesso di protestare. La loro risposta è stata infatti immediata e la ragione è chiara. Le donne birmane sono abituate a protestare, a guadagnare il rispetto un diritto alla volta. Oggi non stanno protestando solo contro la dittatura, ma contro la persistente disuguaglianza di genere nel Paese. Lo stanno facendo come solo le donne sanno fare, pacificamente e in modo brillante.

Le birmane non erano impreparate al colpo di spugna passato sui propri diritti dalla giunta militare all’inizio del 2021. Non erano impreparate al ritorno di un passato iper-patriarcale in cui i poliziotti credono di essere indeboliti dal solo contatto con l’abbigliamento femminile. Molte giovani hanno quindi sfruttato questa gretta narrativa misogina durante le proteste. Marciando in protesta, infatti, le donne birmane si sono aperte la strada appendendo i propri indumenti intimi (htamein). In questo modo sono riuscite ad aprirsi la strada. I poliziotti, troppo impauriti, non hanno voluto nemmeno camminare sotto i loro indumenti.

Gli attivisti

L’Associazione per i diritti delle donne nello sviluppo (AWID) ha sponsorizzato una chat tra attiviste LGBT+ e femministe per parlare delle proteste. Tra loro anche Nandar, podcaster di 26 anni e fondatrice dell’organizzazione Purple Feminist Group. «Quando esci per strada – racconta la giovane – ti accorgi che donne e persone LGBTQ+ sono in prima linea in queste proteste. Sono le voci della democrazia e si battono essa rischiando la vita. È sorprendente assistere a questa unità nonostante le differenze. Veniamo da religioni diverse, background diversi, etnie diverse, ma siamo insieme per questo unico obiettivo: raggiungere la democrazia e porre fine a questa dittatura».

Protestare costa, per le donne anche di più

Innumerevoli i morti tra i civili per mano delle forze di sicurezza del Myanmar. Migliaia le persone arrestate. Il pericolo è particolarmente forte per le donne, che di frequente vengono anche molestate. Nandar ribadisce che che la Polizia in Myanmar è misogina e non ha imparato a trattare con le manifestanti. Gli incidenti documentati nei social, infatti, mostrano che le forze dell’ordine maltrattano le donne. Chiaramente, per l’attivista, si tratta di molestie sessuali.

Myanmar e donne leader

May Sabe Phyu, è a capo di oltre 100 ONG a difesa di giustizia ed uguaglianza per le donne tra cui anche il Gender Equality Network (GEN). Questo ente nasce per responsabilizzare le giovani donne ma è diventato molto di più. Una necessità di questo genere era particolarmente sentita. Infatti prima delle elezioni che hanno portato all’elezione di Aung San Suu Kyi, solo il 4,6% dei seggi in parlamento era detenuto da donne che per il resto, invece, erano assenti da ruoli decisionali di governo. È la Phyu stessa ad illustrare le attività della rete: «Dopo la devastazione del ciclone Nargis nel 2008 e l’inerzia del governo militare, i nostri gruppi per i diritti delle donne si sono uniti sotto “GEN”. Da allora i nostri risultati sono diventati più grandi e le nostre speranze, anche se profondamente sfidate, sono aumentate». «Ogni notte picchiamo pentole e padelle per denunciare il colpo di stato militare. Non abbiamo avuto paura quando ci siamo avvicinati alle armi da fuoco e ci siamo messi tra le forze di sicurezza e i manifestanti in prima linea», ha detto Phyu, che ha concluso: «Se i militari controlleranno il Paese sarà un incubo per tutto il lavoro che stiamo facendo. Dobbiamo vincere questa volta».

di Serena Reda

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