Sono poche le serie targate Netflix capaci di coinvolgerci e soddisfarci su quasi tutti i fronti. “Narcos: Messico” (da stasera sui Rai 4 ogni sabato alle 21:20), proprio come la sua serie madre “Narcos“, rientra fortunatamente in questa categoria.
“Narcos” ha il grande pregio di essere una sere capace di trattare senza eccessi un argomento delicato: la lotta al narcotraffico.
Così dopo le “imprese” dei Cartelli di Medelin (capeggiato da Pablo Escobar) e Cali in Colombia, “Narcos: Messico” cambia ambientazione e fa persino un passo indietro a livello temporale.
Ci ritroviamo così nel Messico degli anni ’80, scenario dell’ascesa del Cartello di Guadalajara e del suo spietato leader, Felix Gallardo (Diego Luna).
Proprio come la serie madre, “Narcos: Messico” non è solo una storia di criminali ma anche di coloro che tentarono di contrastarli.
Non crediate però che questa sia il classico scontro tra Guardie e Ladri o Buoni contro Cattivi.
I personaggi di “Narcos” sono esseri umani con i loro pregi e difetti e accomunati solo dalla loro appartenenza a un mondo in cui la crudeltà e la violenza sembrano le uniche soluzioni per trovare un senso alla propria esistenza.
Un mondo in cui i criminali spesso la fanno da padroni e dove spesso i tutori della legge o sono persone che hanno cominciato a convivere con questa tetra realtà (esemplare il caso di Calderoni e la sua ambigua moralità) o paladini della giustizia destinati alla sconfitta.
È sicuramente il caso di Kiki Camarena (Michael Pena), inconsapevole pedina in quelli che saranno gli eventi più tragici e determinati della lotta al narcotraffico come lo conosciamo oggi.
Molti avevano dei dubbi verso questo cambio di rotta da parte di “Narcos”: potevano Gallardo e Camarena colmare il vuoto lasciato da Escobar, i padrini di Cali e gli Agenti Murphy e Pena?
Ma soprattutto aveva senso raccontare una storia che non è ancora conclusa? Le risposte a entrambe le domande è sì.
Gallardo è un boss del narcotraffico completamente diverso da Escobar. Dove il “Patron del Mal” era un egomaniaco arrogante e impulsivo, Gallardo è decisamente più cauto e riflessivo.
Accompagnato da figure non altrettanto equilibrate come il patetico eppure saggio Don Neto (lo strepitoso Joaquin Cosio) o un giovane El Chapo, Gallardo è un criminale multiforme.
Presentato come un furfante da quattro soldi desideroso di dimostrare la sua superiorità, Felix si trasforma in un diabolico pianificatore che scatenerà un crescendo di morte e crudeltà che cambierà il Messico in maniera permanente.
Tutto questo è parte di una serie che può anche vantarsi di un’ottima confezione, attori in forma e soprattutto di un racconto non è mai al servizio della violenza e dove l’intento sociale del prodotto è rispettato.
Quella di “Narcos: Messico” non è una realtà conciliante o adatta agli animi sensibili ma fa comunque parte del nostro mondo e non possiamo ignorarla.
In fondo è un bene che esistano serie TV di qualità che ci mostrino un simile contesto senza compiacimento e riuscendo anche ad intrattenerci.
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