Venus in Fur

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Di Redazione Metropolitan

Dai primi giorni di ottobre fino al 09 dicembre 2017 è stato in programmazione al Theatre Royal Haymarket di Londra lo spettacolo Venus in Fur (la Venere in Pelliccia) che ha visto nel ruolo di protagonisti Natalie Dormer e David Oakes.

Venus in Fur

Lo spettacolo è stato scritto da David Ives e diretto da Patrick Marber tuttavia la trama che sta alla base della storia è tratta da un romanzo del 1870 ad opera dello scrittore austriaco Leopold Von Sacher-Masoch dal titolo Venus in Furs.

Quando si alza il sipario troviamo Mr. Oakes nei panni di Thomas Novachek, un giovane drammaturgo, che si cimenta per la prima volta nel ruolo di direttore teatrale allo scopo di portare sulla scena una sua personale rivisitazione della Venere in Pelliccia. Estenuato dopo una giornata di provini insoddisfacenti, sta per tornare a casa quando si presenta alla sua porta una mirabolante Natalie Dormer. Natalie veste i panni di una ragazza giovane e frizzante alla disperata ricerca di un lavoro, Vanda Jordan. Il personaggio che interpreta ricorda un po’ se vogliamo la figura di Penny della serie #The Big Bang Theory: una donna attraente ma un po’ svampita, magari all’apparenza superficiale ma sveglia.

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Miss Jordan cerca di convincere in tutti i modi Thomas a darle una possibilità per fare un provino nonostante l’ora tarda e nel momento in cui riesce a convincerlo si verifica una cosa molto interessante: la narrazione si sdoppia su due piani.

Il piano della narrazione reale è quello dove Thomas e Vanda stanno provando lo sceneggiato; il piano in cui si sviluppano gli eventi descritti nel copione raccontano le vicende di Severin von Kushemsky e Wanda von Dunayev.

È una storia di amore, passione, follia. È la storia dell’incontro di un uomo e una donna e il successivo instaurarsi di una relazione basata sul potere e sul controllo. Kushemsky vede in Wanda la possibilità di sperimentare la passione più pura e feroce; sottomettendosi completamente a lei, offrendosi di servirla e riverirla come suo schiavo egli intende dimostrarle la sua devozione e la sua capacità di amare.

Attraverso il dolore, l’umiliazione costante e una condizione degradante Kushemsky sperimenta dentro si sé l’accendersi della vita, il risvegliarsi di uno stato di attività febbrile. Egli riscopre quel momento della sua adolescenza in cui fu punito da sua zia, la Contessa, una donna terribile, voluttuosa, dai modi imperiosi. Una donna che nel suo portamento elegante (sempre avvolta in bellissime pellicce) e nei modi fini lasciò in lui uno stimolo che maturerà negli anni a venire fino alla realizzazione di un’ideale canonico di bellezza e femminilità.

Un dì, colpevole di insolenza e mancanza di rispetto, in assenza dei di lui genitori, la Contessa gli inferse una punizione tremenda in seno alla quale gettò il seme del successivo feticismo di lui. È qui che nasce l’idea della Venere e l’attaccamento indiretto per le pellicce. Egli sviluppa un complesso verso le figure femminili forti, detentrici di potere in generale e sulla propria persona. Kushemsky fa allora un voto con se stesso: decide di aspettare, di non concedersi a nessun essere femminile fino a che non avesse ritrovato una donna capace di provocare in lui quello stesso amore instabile e sofferto degli anni della gioventù. Quell’amore che arde come brace e che promette solo la certezza di un’ustione; quell’amore che è svilire e avvilire e offre solo il tormento dell’animo.

Si, stiamo parlando proprio di S&M, ovvero di sadomasochismo e masochismo. Kushemsky è un masochista. E la prima donna di cui si innamora follemente dopo quella zia Contessa così spietata che perseguitò i suoi sogni ogni notte è proprio Wanda.

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Quanto più si crogiola nell’agonia del rapporto con Wanda, tanto più il suo animo si eleva; è una contraddizione, un paradosso, un dilemma. Wanda von Dunayev si offre di firmare un contratto in cui Kushemsky promette di prestare servizio presso di lei come schiavo per un anno. Più e più volte, quanto più egli le offre sottomissione incondizionata, tanto più Wanda diventa preda di sentimenti contrastanti.

Vanda lo accusa di tirare fuori il suo lato peggiore, di renderla impura e corrotta; allo stesso tempo, quando cede alle preghiere di lui, Vanda si accanisce per spezzare Kushemsky e riversare su di lui, onda dopo onda, il proprio egoismo. Come se volesse vendicarsi del fatto che lui faccia emergere una perversione per lei inconciliabile con i suoi valori, Vanda lo punisce per la meschinità di entrambi. Colpevole di detenere tanto potere e di godere di questa condizione, colpevole per sentirsi l’oggetto della riverenza e dell’adorazione di un uomo, questa Venere finisce per trovarsi in una condizione antitetica a quella di partenza.

Nel piano della narrazione reale succede invece che l’incontro tra Thomas e Vanda prenda una piega inaspettata.

Thomas ammira la capacità della ragazza di saper interpretare con impareggiabile maestria il personaggio che le è omonimo. Vanda Jordan però rivendica il fatto che dal suo punto di vista questo personaggio femminile, questa cosiddetta Venere in pelliccia, risulti essere scritta in modo da far ricadere ogni colpa su di lei.

È Kushemsky a chiedere il dolore, è sempre lui a prestarsi di propria sponte a ogni sevizia ma l’opera genera l’effetto complessivo opposto; di volgere il proprio biasimo verso quella donna così crudele e senza scrupoli che alla fine abbandona senza rimorsi e senza pentimento alcuno un uomo riverso ai suoi piedi.

Thomas, dal canto suo, non capisce come pur essendo Vanda così brava a comprendere gli stati d’animo della donna possa tacciare l’opera di mancare di rispetto verso le donne. Ne è strabiliato al punto che nasce un breve ma violento alterco in cui si lascia andare negli insulti, per poi però pentirsi immediatamente e chiedere scusa con umiltà.

In corrispondenza di questo punto avviene la congiunzione dei due piani narrativi, prima separati.

Le vicende e i tormenti, le passioni e i desideri di Thomas e Kushemsky in apparenza non collidono: è lo stesso Thomas a negare di avere un’affinità con il tema dell’opera di cui egli ammira solo i sentimenti sproporzionati e la dimensione sconfinata delle passioni. A poco a poco, la crasi del piano ontologico rivela che entrambi gli uomini sembrano avere una simile considerazione dell’amore, solo che Thomas sembra volerlo negare. La sua personalità così sensibile, la sua vita così tranquilla, la sua fidanzata così posata ed encomiabile costituiscono il muro che gli impedisce di vedere oltre la siepe.

Nell’ultima parte del dramma Thomas avverte un’attrazione illogica ed inspiegabile nei confronti di Vanda: l’infatuazione per come riesce a dare magistralmente vita al suo personaggio omonimo da luogo a una pulsione irrazionale che lo vincola lentamente ma inesorabilmente.

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Come nelle tragedie greche il suo destino sembra essere vincolato da questo incontro e da questa prova di recitazione; ogni parola detta, ogni azione incidono nel suo cuore un’apertura verso uno stato d’animo nuovo.

La gioia di aver trovato qualcuno che abbia fatto proprio il contenuto della sua opera e che capisca la psicologia dei personaggi lo spinge in un abisso, lungo una strada sterrata e senza protezioni ai lati. Un itinerario che è al contempo salita e discesa. Salita verso un empireo di cui non si sospettava nemmeno l’esistenza e discesa incontrollata verso una conclusione degna di un drammaturgo.

Ad un certo punto della recitazione, i due decidono di invertire le parti: Vanda interpreta Kushemsky e Thomas interpreta Wanda von Dunayev.

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Qui ha luogo il ribaltamento dei ruoli di cui si accennava poco sopra: la donna dominatrice si trasforma in vittima e “questuante”.

Ella dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo, dopo aver dato la carota e il bastone, rivela a Kushemsky di non poter più continuare, di avere bisogno di altro e di più. Struggendosi nell’abiezione di sé, Vanda confessa al suo spasimante di essere stata al gioco per vedere fino a quale limite si sarebbe spinto lui per lei; ad ogni eccesso, ad ogni oltrepassare del lecito e del consentito il sentimento di Vanda acquistava consapevolezza e definizione. Nel momento di tensione estrema ella allora chiede all’uomo di sposarla e leva un’implorazione a Thomas: gli chiede di dominarla, di disporre di lei per la vita in ogni modo, di ricambiare il giogo.

L’essere disposta ad accogliere il dolore, il patema d’animo in base a cui non vede l’ora di ricevere delle ferite e di poter finalmente cedere la responsabilità del comando rendono noto uno sconforto d’animo in cui ricevere deve seguire il dare.

Diventa chiaro allora che nella misura in cui Kushemsky predispone di essere soggiogato da Wanda von Dunayev, quanto maggiore è il potere che le conceda su di lui, tanto più ella cede nella determinazione e passa sotto il di lui controllo.

Natalie Dormer performs in Venus in Fur, Theatre Royal Haymarket London

Thomas allora, rapito da quella Venere reale e fittizia, in preda ad una grande eccitazione, ha un’epifania.

Realizza che una Donna è capace di dare e di togliere; può regalare felicità estatica o incubi inenarrabili; è una forza della natura che l’uomo deve venerare e a cui deve rendere omaggio. 

Terribili sventure spettano all’uomo che la sottoponga a un travaglio mostruoso e con un esito quantomai denigrante; colui che avrà mosso un dito per fare del male a una donna incorrerà nell’ira di un dio. O meglio, di una dea.

A questo punto si ha un colpo di scena (forse i lettori saranno così arguti da presagire  cosa) e cala il sipario.

La relazione tra Wanda e Severin (e di riflesso il rapporto tra Vanda e Thomas) sembra avere dei rimandi ad Hegel e in particolare alla dialettica del Servo-Signore. Nella battaglia per il mantenimento dell’indipendenza dell’io e dell’autocoscienza, colui che cede e rinuncia per aver salva la vita indossa la veste del servo mentre colui che ha trionfato diventa il signore. In questa relazione dove il servitore provvede ai bisogni del padrone che si gode i frutti della vittoria adagiandosi sugli allori, è posta la base per uno scambio dei ruoli e delle funzioni. Il servo lavora per il mantenimento di vita del signore e nel proprio lavoro trova una sorta di nobilitazione che stimola e fa crescere in lui il principio dell’autosufficienza e dell’indipendenza. Il padrone invece diventa schiavo delle comodità e dei servigi offerti dal primo, perdendo  quel primato che gli aveva consentito di assurgere ad un ruolo superiore. A quel punto la subordinazione si rovescia.

Riflettiamo bene: nell’amore passionale dei quattro personaggi cogliamo la distinzione tra una funzione dominante e una funzione di sottomissione. Wanda, nel ruolo di Mistress, si impone su Kushemsky, nel ruolo di schiavo. Ella diventa incapace di mantenere il controllo, diventa incapace di gestire tanto potere su una persona; invece, più Severin si presta ai suoi bisogni, più si genuflette, maggiore diventa la lucidità di un fanatismo che lo porta a vedere con chiarezza l’esito di una relazione ossessiva. L’alternarsi dei ruoli diventa vitale per il benessere di entrambi in quanto permette di introdurre l’ossigeno necessario a un ricambio. Il desiderio conduce al comando, la paura alla schiavitù; la sottomissione fa risorgere il desiderio e così via ciclicamente.

Le ottime recensioni della stampa inglese dovrebbero essere ben più che sufficienti per convalidare quanto espresso in questo articolo.

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Di fronte ad un’opera di indubitabile spessore e avendo avuto modo di vedere con i miei occhi una performance memorabile, sono estasiato di accertare come eccellente la riuscita di questo dramma.

– Alessandro Mannarini –