NBA, le 10 sorprese del primo mese

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Di Redazione Metropolitan

A un mese dall’inizio della stagione NBA, vediamo i 10 giocatori che hanno sorpreso finora.

Luka Doncic

Sicuramente non può essere considerata una sorpresa se consideriamo l’enorme potenziale che lo sloveno ci ha fatto intravedere in questi anni, ma giocare così alla sua seconda stagione NBA e a soli vent’anni è qualcosa che nessuno poteva immaginare. Ormai è chiaro a tutti: Luka Doncic in questo primo mese ha giocato da MVP. E a dirlo non è soltanto la miriade di record che ha frantumato, molti dei quali possono essere racchiusi in quello che lo vede essere il quinto giocatore nella storia a raggiungere 300 punti, 100 rimbalzi e 100 assist in una serie di 10 partite.

Andando oltre i numeri, impressiona anche il modo in cui Luka si esprime in campo. La sua confidenza con il parquet è anni avanti rispetto ai suoi coetanei. Con solo un anno di NBA alle spalle gioca come un veterano. Allo stesso tempo però lo fa con una creatività e una varietà tipica di quell’elite di giocatori cui appartengono pochi interpreti del gioco. Se continua a giocare con costanza a questo ritmo, è lecito considerarlo uno dei candidati alla prossima corsa per l’MVP. Il futuro della lega è nelle sue talentuose mani.

Luka Doncic - NBA
Luka Doncic – Photo Credit: USA TODAY Sports

Andrew Wiggins

Quando nel 2014 i Cleveland Cavaliers lo avevano scelto spendendo la loro prima chiamata al Draft – per poi girarlo ai Wolves nell’affare Love – tutti vedevano in lui la futura star della lega. Si erano sprecati i paragoni con Lebron James e addirittura con il primissimo MJ. Tuttavia anche a seguito di una prima stagione che lo aveva incoronato rookie dell’anno – con una pochissimo agguerrita concorrenza – si era cominciato a ravvisare limiti nel suo gioco, resi evidenti negli anni successivi.

Molte partite giocate da comparsa alternate a prestazioni di primissimo livello e percentuali rivedibili (soprattutto da dietro l’arco) non avevano convinto fino in fondo. E tra scelte di tiro molto rivedibili e pochissima costanza alcuni avevano cominciato ad additarlo quasi come un bust. Tuttavia Andrew Wiggins ha solo 24 anni e questa potrebbe essere la stagione del riscatto. Negli ultimi 30 giorni il canadese ha viaggiato a medie da career high – 25,6 punti, 5,3 rimbalzi e 3,6 assist – migliorando anche le percentuali da tre. Stiamo a vedere se effettivamente questa sarà la stagione della consacrazione (e della costanza).

Andrew Wiggins
Andrew Wiggins – Photo Credit: Getty Images

Brandon Ingram

Storia analoga a quella della guardia di Minnesota è quella di Brandon Ingram. Scelto con la numero due dai Lakers al Draft 2016, l’ala di Kinston ha vissuto a Los Angeles tre anni in cui non è mai veramente riuscito a far vedere con continuità ciò di cui è potenzialmente capace. A New Orleans quest’anno sembra aver ingranato la marcia e sta viaggiando – come Wiggins – a medie superiori a quelle raggiunte negli anni precedenti. 25,6 punti, 7,4 rimbalzi e 4,1 assist, tirando con il 51% dal campo e 45% da tre.

In una stagione cominciata non nel migliore dei modi, è stato uno dei pochi bagliori di luce in Lousiana. Ingram sta ricoprendo quel ruolo da leader che non era riuscito ad avere a L.A. (vedasi le dichiarazioni di Reddick dopo la vittoria sui Phoenix Suns). In attesa del debutto di Zion, con cui può formare un duo altamente problematico per le difese NBA, Brandon Ingram è la più bella sorpresa per i tifosi dei Pelicans in questo primo mese di stagione.

Brandon Ingram - NBA
Brandon Ingram – Photo Credit: AP

Dwight Howard

Quando Superman era sbarcato la prima volta nella Città degli Angeli lo aveva fatto da uno dei centri più dominanti della lega e con il chiaro obiettivo di vincere l’anello al fianco di Kobe e Nash. Sappiamo tutti com’è andata. Da lì una parentesi sfortunata a Houston, gli infortuni, l’evoluzione di un gioco che gli sta troppo largo, tre squadre diverse in tre anni, ancora infortuni e una carriera che sembra giunta alla fine. La seconda volta che va a Los Angeles Dwight Howard è un giocatore e un uomo diverso, facendo ricredere chi pensava che sarebbe stato più una figurina che un giocatore davvero funzionale per i Lakers.

Ecco, Dwight ha dimostrato proprio il contrario. Il figliol prodigo in estate lavora duro, perde peso, si rimette in forma, si guadagna la fiducia della dirigenza e inizia la sua stagione in maglia gialloviola con prestazioni solide sia offensivamente che (soprattutto) difensivamente. Sotto la direzione di Vogel Howard è tornato a incutere timore a chiunque nel pitturato. In appena 20 minuti di partita fin qui ha fatto registrare 1,6 stoppate e 7,5 rimbalzi, che su 36 minuti si traducono in 2,8 stoppate e 13,3 rimbalzi (di cui ben 4 offensivi). Un elemento prezioso per Vogel, che grazie all’ex Rocket può far rifiatare Anthony Davis non preoccupandosi di lasciare sguarnita l’area.

Dwight Howard
Dwight Howard – Photo Credit: Getty Images

Carmelo Anthony

A proposito di presunte carriere finite. Fino a qualche mese fa c’era chi, interrogato sull’argomento “Melo“, esclamava “Ah, ma perché ancora non si è ritirato?”. Ed effettivamente era più di un anno che non calcava i parquet NBA, senza che nessuna squadra avesse intenzione di coinvolgerlo nel proprio progetto. Dopo le disastrose esperienze a OKC e Houston, Anthony non sembrava più in grado di reggere fisicamente e tecnicamente. Troppo vecchio, troppo lento, troppo grasso, troppo fermo in difesa, troppo impreciso.

A un certo punto, quando ormai era veramente scomparso dai radar di tutti, ci si era ritrovati realmente a pensare al fatto che non avremmo più visto Melo in un campo NBA. Eppure lui ci ha sempre creduto, continuando ad allenarsi, nella speranza che una chiamata sarebbe arrivata. La chiamata è finalmente arrivata da Portland, che fa firmare a Carmelo un contratto non garantito. Ma tanto basta. E qui Anthony sorprende tutti. Chi lo aspettava fuori fase, ormai estraneo al gioco, si è dovuto ricredere a suon di dita colpite sulla testa. Sicuramente non è più quello di New York, ma una cosa è sicura: Melo is back.

Carmelo Anthony - NBA
Carmelo Anthony – Photo Credit: Getty Images

Markelle Fultz

Il destino della guardia dei Magic si intreccia per un attimo a quello di due qui sopra, Wiggins e Ingram. Come loro due, infatti, Fultz era stato chiamato alto al Draft, più in alto di tutti al Draft del 2017. Una stagione al college pazzesca che aveva convinto i Sixers a rinunciare a due scelte per averlo, una delle quali sarebbe poi diventata Jason Tatum. Ma la storia di Fultz è più complessa e ancor più drammatica di quella di Ingram e Wiggins. I problemi fisici e psicologici che si è trascinato dietro in due anni lo hanno portato a giocare appena 33 partite in 255 minuti complessivi. Orlando ha voluto scommettere su di lui, vedendo ancora un potenziale ottimo giocatore e dandogli una chance.

E in maglia Magic Markelle sembra che stia pian piano rinascendo. L’ex prodotto di Washington sta viaggiando a medie non altissime – 10,8 punti, 2,1 rimbalzi e 3,5 assist in 24,1 minuti di media – ma prestazioni come quella di settimana scorsa, in cui ha fatto registrare un career-high da 19 punti, fanno ben sperare. Fultz è ancora lontano da essere un giocatore di primo livello, e ancor più lontano dal giocatore che si era immaginato potesse essere dopo la notte di quel Draft. Tuttavia non c’è da dimenticare che ha ancora 21 anni e che il tempo per recuperare gli anni persi nelle infermerie c’è.

Markelle Fultz
Markelle Fultz – Photo Credit: Kim Klement-USA TODAY Sports

Devonte’ Graham

Una delle favole più belle di questa stagione è sicuramente quella di Devonte’ Graham. Scelto alla numero 34 del secondo giro al draft del 2018, il play di Charlotte si è preso sulle spalle una squadra che è tra le meno talentuose in NBA. Poco da dire, in questo momento è il migliore degli Hornets. Per lui 18,1 punti, 3,5 rimbalzi e 7,1 assist, tirando divinamente dall’arco. L’ex Jayhawks è dietro solo a James Harden per numero di triple realizzate in stagione. Impressionante la partita contro i Knicks in cui ha zittito il pubblico del Madison Square Garden mettendo a referto ben nove triple, tra cui quella del game winner a pochi secondi sul cronometro.

Per non dimenticare i 35 punti con cui ha distrutto gli Indiana Pacers. Numeri che non ti aspetti da uno che l’anno scorso ha giocato in G-League e in NBA aveva 4,7 punti di media. Con la partenza della colonna portante della franchigia, Kemba Walker, il ruolo (pesante) di play era rimasto vacante. Tutti pensavano che sarebbe stato Terry Rozier a occuparlo, ma Devonte’ se l’è preso con la forza a suon di triple. Se adesso gli Hornets hanno sei vittorie è soprattutto per merito suo. Se continuerà così, a fine stagione lo vedremo sicuramente tra i candidati al MIP.

Devonte' Graham - NBA
Devonte’ Graham – Photo Credit: Jerome Miron-USA TODAY Sports

Eric Paschall

Se si parla di favole, non si può non menzionare quella che sta vivendo Eric Paschall. Chiamato con la 41ª scelta allo scorso Draft, l’ex Villanova è l’unica (ma davvero l’unica) nota positiva nella stagione buia dei Golden State Warriors. 5 anni di college tra Fordham e Villanova, cui cui ha vinto anche il titolo NCAA al fianco di altri NBA, come Donte DiVincenzo, Mikal Bridges, Omari Spellman e Jalen Brunson. Approdato in NBA Paschall è stato bravo a sapersi ritagliare lo spazio giusto, visti i numerosi infortuni che hanno colpito la squadra della Baia.

Una serie di prestazioni positive hanno convinto Steve Kerr a puntare su di lui, soprattutto in seguito alla fantastica partita contro Portland. Nel giorno del suo compleanno Eric mette a referto 34 punti, prendendo 13 rimbalzi, tirando col 58% dal campo e segnando 4 triple. Attualmente è il rookie con più punti (268), uno in più in di Ja Morant, ma anche il miglior marcatore della sua squadra. Di sicuro a questo punto gli Warriors puntano tanto su di lui, anche se forse non basteranno le sue prestazioni per risollevare le sorti della franchigia californiana.

Eric Paschall
Eric Paschall – Photo Credit: Getty Images

Kendrick Nunn

Avevamo già parlato di lui, del suo passato da undrafted, l’esperienza in G-League e il salto di qualità in preseason. A inizio stagione Kendrick Nunn è riuscito a traghettare i Miami Heat, orfani di Dion Waiters e soprattutto di Jimmy Butler. Nelle prime 5 partite ha messo a referto 112 punti; solo Kevin Durant e Jerry Stackhouse hanno fatto di meglio all’inizio del loro anno da rookie negli ultimi 25 anni. Nessuno però meglio di Nunn da undrafted. Grazie a questi numeri e altre ottime partite, Nunn è il terzo rookie per punti, il quarto per assist e il secondo per palle rubate.

Insieme al rookie Tyler Herro e Duncan Robinson è tra le sorprese più belle e inaspettate della stagione degli Heat. Le medie parlano chiaro: 16,8 punti, 2,5 rimbalzi, 3,5 assist e 1,3 palle rubate. Se i Miami Heat sono terzi a est – confermandosi come una delle sorprese di questo inizio di stagione – tanto devono a lui. Se ci mettiamo anche il ritorno di Butler e il costante miglioramento di Bam Adebayo, i tifosi possono sperare di rivedere il sole in Florida.

Kendrick Nunn - NBA
Kendrick Nunn – Photo Credit: Getty Images

Shai Gilgeous-Alexander

Se Jerry West dice che un giocatore diventerà un futuro All-Star, io a occhio mi fiderei. Se poi si parla di Gilgeous-Alexander, ci credo ancora di più. Il canadese finora è stato il migliore della (quasi) nuova OKC. Arrivato nella trade che ha portato Paul George a Los Angeles e lui e Gallinari in Oklahoma, nessuno si aspettava che sarebbe stato lui a guidare la squadra di Billy Donovan. Scelto alla numero 11 al Draft di due anni fa, il canadese avava in parte deluso le aspettative, in una stagione da 10 punti, 2,8 rimbalzi e 3,3 assist.

Sprazzi di talento offensivo e difensivo avevano comunque fatto intravedere ciò di cui è potenzialmente capace l’ex prodotto di Kentucky. Una traccia di questo potenziale lo si sta vedendo già in questa stagione: 19,7 punti, 5,3 rimbalzi e 3 assist, tirando di più e in modo più preciso, soprattutto da tre (passando da 0,6 a 1,7 triple realizzate di media). Un miglioramento netto a livello offensivo, come dimostrano i 9 ventelli stagionali. Di sicuro è la nota più lieta della stagione dei Thunder.

Shai Gilgeous-Alexander
Shai Gilgeous-Alexander – Photo Credit: Alonzo Adams-USA TODAY Sports