È il 26 aprile 1988 quando i proprietari delle franchigie NBA danno il loro assenso alla proposta, votata all’unanimità dai vertici della lega, di affiancare un terzo arbitro ai due usuali che dirigevano le partite. Fino ad allora, infatti, non si era sentito il bisogno di aggiungere un altro fischietto a bordocampo; o meglio, non si volevano uscire i soldi per farlo. Difatti, per pagare altri 15 arbitri – oltre i 33 già in carica – la spesa sarebbe ammontata a circa un milione di dollari all’anno.

Eppure già nove anni prima, nella stagione 1978/79, si era deciso di provare l’esperimento; come per il college basketball si sarebbero avuti non quattro, ma sei occhi a vigilare sulla buona condotta e il rispetto delle regole sul rettangolo di gioco. Tutto liscio, ma quel milione all’anno fece protendere i proprietari verso un “Bello, ma no grazie”. Dalla stagione successiva, dunque, si era tornati al binomio arbitrale, anche se per specifiche partite della regular season e per tutte le partite dei playoff veniva tenuto un arbitro “jolly” in caso di necessità (come l’infortunio di uno dei due in campo).

Arbitro NBA anni '70
Un arbitro NBA degli anni ’70 – Photo Credit: via Twitter, @Super70sSports

La necessità di un terzo arbitro in un’NBA violenta

È vero, una delle cose che manca di più a molti nostalgici della NBA “old school” è il contatto fisico più presente. Questo però era tanto presente che spesso e volentieri sfociava in gesti non proprio da gentleman. I Bad Boys di Detroit, ad esempio, avevano costruito un’intera reputazione su quest: Isiah Thomas, Dennis Rodman e Bill Laimbeer non le mandavano certo a dire. Gomitate sui blocchi, colpi proibiti a rimbalzo, difese a volte fin troppo “invasive” rendevano il gioco più rude, spesso al limite del pericoloso. Tutto questo poteva tradursi in due situazioni: infortuni o risse. Ecco, queste ultime non erano così rare e alcune hanno pure rischiato di sfiorare la tragedia.

Da questo punto di vista l’episodio più celebre è quello passato alla storia come “The Punch”. Durante un Lakers-Rockets del dicembre ’77 gli animi si scaldano, scatta la rissa e la massiccia ala dei Lakers, Kermit Washington, scaglia un colpo sordo sul volto di Rudy Tomjanovich, capitano di Houston, intervenuto solamente per cercare di far calmare le acque. Prognosi: frattura dello zigomo, della mandibola, del setto nasale e una commozione cerebrale. Forse fu anche quell’episodio e l’enorme eco che ebbe a spingere i vertici NBA a voler sperimentare il terzo arbitro la stagione dopo. Sicuramente altri episodi simili portarono sempre più a pensare che un paio d’occhi in più potevano far comodo.

"The Punch"
“The Punch” – Photo Credit: houstonchronicle.com

David Stern e la terna arbitrale

Sostenitore dell’introduzione fissa del terzo arbitro nelle partite NBA fu David Stern. L’ex commissioner recentemente scomparso è considerato e considerabile come colui che ha inventato la NBA moderna. Con a capo Stern, infatti, l’NBA ha avuto una crescita esponenziale che la rende la lega forte e globale che conosciamo oggi. Nella sua trentennale carriera ha dovuto affrontare una miriade di sfide, ma grazie a una capacità comunicativa e di gestione fuori dal comune (secondo certi addirittura manipolativa) è quasi sempre riuscito a ottenere un sì come risposta dagli “owners” NBA.

Nel 1988 Stern poi aveva al proprio fianco non esattamente gli ultimi scappati di casa; nel ruolo di executive vice president of operations, ad esempio, c’era Rod Thorn. Sì, quello stesso Thorn che 4 anni prima in veste di GM dei Bulls aveva portato Michael Jordan a Chicago. Intervistato dal New York Times, Thorn si era espresso così sulla necessità di introdurre il terzo arbitro:

“Il gioco è diventato sempre più veloce e viene giocato da persone sempre più grandi, secondo noi un paio di occhi in più aiuterebbero a coprire di più tutto il campo. Con due arbitri, ci sono volte in cui non tutto il campo è coperto. Con un terzo arbitro le decisioni che ogni arbitro deve prendere si riducono dalla metà a un terzo del campo. Abbiamo anche la sensazione che con sei paia di occhi che guardano il campo un minor numero di atti violenti rimarrebbero inosservati, e che i giocatori diventeranno consapevoli che non potranno più farla franca con certi ‘gesti carini’ con cui se la sono cavata e che i due arbitri non sono stati in grado di cogliere.”

Rod Thorn e Michael Jordan al Draft del 1984
Rod Thorn e Michael Jordan al Draft del 1984 – Photo Credit: via Twitter, @chicagobulls

Anche grazie a lui David Stern riuscì ancora una volta a far dire sì i membri del Board of Governors NBA, che il 26 aprile 1988 votarono a favore della terna arbitrale. Entrata in vigore dalla stagione 1988/89, è in uso ancora oggi; gli atti violenti e le risse non sono di certo cessate, ma adesso il gioco è un po’ più pulito e sorvegliato. Se, come si dice, quattro occhi vedono meglio di due, allora sei occhi vedono meglio di quattro; facciamo sette se ci aggiungiamo quello tecnologico dell’Instant replay.