Non aveva la classe di Federer, il vigore di Nadal o la potenza di Roddick, ma ciò che contraddistingueva Nikolay Davydenko, tanto da farne un esempio per i giocatori non baciati dal talento, era la sua incredibile etica del lavoro e spinta a migliorarsi. In occasione del suo 39esimo compleanno rendiamo omaggio a uno dei protagonisti (silenziosi) del tennis degli anni 2000.
Gli inizi difficili e l’esordio tra i pro di Davydenko
Nikolay Vladimirovič Davydenko nasce a Sjevjerodonec’k, provincia ucraina a non molti chilometri dal confine con la Russia. Qui si trasferisce all’età di 11 anni con i genitori e col fratello più grande, Eduard, anch’egli tennista e coach di Nikolay. Ed è proprio Eduard che instilla nel fratello l’amore per il gioco del tennis; vedendolo giocare e insegnare (è coach già a 19 anni), emulando le sue gesta e quelle di un cecoslovacco che negli anni ’80 dominava sulle superfici mondiali, Davydenko decide che sarebbe diventato anche lui un grande giocatore.
Le condizioni per farlo, tuttavia, non sono di certo le migliori; diciamo che una famiglia media Ucraina degli anni del regime Sovietico non era esattamente splendido esempio di opulenza. Nel 1996 i due fratelli allora decidono di andare a Salmtal, in Germania, per risparmiare sui continui viaggi e per allenarsi in un ambiente più consono alla crescita di un tennista. Qui effettivamente ha la possibilità di disputare più tornei e affinare le sue abilità. Tre anni dopo Davydenko entra nel mondo dei pro; nel 1999 poche apparizioni a Futures, a cui si aggiungono nel 2000 qualche Challenger (tra cui quello vinto di Mönchengladbach) e il primo torneo ATP ad Amsterdam, dove si spinge addirittura fino in semifinale.
I soldi però sono ancora pochi e i sacrifici tanti. Tra il denaro mandato in Russia ai genitori, quello per attrezzature, allenamenti e la sopravvivenza generale, i Davydenko sono costretti a stringere la cinghia. Niente ristoranti, un panino al volo mangiato in camera basta e avanza. Viaggi in aereo? Anche no, il treno è più scomodo ma decisamente più economico. E mentre altri suoi coetanei come Federer e Safin (russo come Davydenko) vincono titoli, tra cui anche qualche Major, Nikolay compie piccoli passi avanti che lo portano a disputare sempre più tornei dell’ATP Tour, strappando anche i primi gettoni nei palcoscenici del Grande Slam.
I primi successi e la consacrazione
Il 2003 è l’anno dei primi titoli per il russo. Quell’anno comincia col botto, quando ad Adelaide batte il belga Kristof Vliegen e alza il suo primo trofeo. Il montepremi che si porta a casa è maggiore di quello guadagnato nei primi due anni tra i professionisti (e stiamo parlando di Adelaide, eh). Tre mesi dopo arriva il secondo titolo, sulla terra di Estoril. La vittoria in finale contro Augustin Calleri, tuttavia, non è il solo pezzo importante che Davydenko si porta dietro da quel torneo. Ai quarti di finale, infatti, batte per 6-2, 6-4 la leggenda del tennis russo, Yevgeny Kafelnikov, che l’anno prima l’aveva sconfitto a Doha.
Non propriamente un passaggio di consegne, dato che Davydenko non vincerà quanto Kafelnikov, ma sicuramente un punto significativo nella storia del tennis russo. L’anno successivo “Il Principe” appenderà la racchetta al chiodo e dal 2005 Davydenko comincerà a diventare una presenza fissa in Top 10. Ci rimarrà per 5 stagioni di fila (nel 2006 sarà n.3), diventando il tennista russo con più settimane consecutive tra i primi dieci di sempre. Nel mezzo 15 titoli tra cui tre Master 1000, il titolo di “Maestro” conquistato alle ATP Finals del 2009 contro Del Potro e la Coppa Davis con la Russia nel 2006.
Risulterebbe paradossale, allora, pensare che nonostante questo nessun grande sponsor abbia mai voluto legarsi a Davydenko. D’altronde il russo non è mai stato un atleta “commerciale”; non rispecchia esattamente la figura dell’atleta carismatico e magnetico che ti fa vendere milioni di prodotti. Insomma, non è stato mai un Roger Federer. In Russia, poi, a meno che non ti chiami Kafelnikov o Safin o non hai raggiunto o vinto una finale Slam, non è poi semplicissimo firmare contratti remunerativi. Basta pensare che uno dei suoi sponsor principali è Airness, azienda francese che oltre il russo aveva sotto contratto la nazionale di calcio del Congo, del Mali e del Benin. Non esattamente Nike, Adidas o Rolex.
Gli ultimi anni e il ritiro
Se aveva chiuso il 2009 in bellezza, il modo in cui Davydenko apre il suo 2010 non è da meno. Nel primo torneo a cui partecipa, quello di Doha, conquista il suo ventesimo titolo, e lo fa in grande stile. In semifinale batte, infatti, il numero 1 del mondo, Roger Federer, e in finale sconfigge in rimonta il numero 2, Rafa Nadal. In questo modo Davydenko diventa l’unico giocatore insieme a Del Potro ad aver battuto nello stesso torneo i due mostri sacri del tennis. Quell’anno non regalerà altri trofei al russo che dopo cinque anni terminerà l’anno fuori dalla Top 10. A inizio 2011 a Doha rischia di bissare l’impresa dell’anno prima, ma Federer in finale non gli concede neanche un set.
Da lì comincia il declino di Davydenko che a Monaco ha il tempo di alzare l’ultimo trofeo della carriera; da quel momento arriverà solo un’altra volta in finale, sempre a Doha, nel 2013. Nel ranking ormai Davydenko è sprofondato, le 33 primavere si fanno sentire e influiscono inevitabilmente sul suo gioco, e allora il 16 ottobre 2014 annuncia il suo ritiro dai campi. Non ci sono più i presupposti per garantire quel suo gioco da battitore da fondocampo, le corse, il vigore che lo rendevano un giocatore adatto a tutte le superfici e che supplivano a una mancanza di tecnica sopraffina.
È vero, Kolya ha sempre peccato di variare poco il gioco e di non avere quel quid da cannibale che gli serviva per vincere i match nei momenti importanti, ma se si stilasse una classifica dei giocatori più sottovalutati di sempre, lui ci rientrerebbe sicuramente. Un rovescio bimane letale negli anni d’oro, un gioco di piedi rapido e preciso che gli permetteva di posizionarsi nel modo migliore per anticipare l’avversario, un ritmo martellante da fondocampo che se non riflette un gioco raffinato, è comunque specchio della vita di Nikolay.
Una vita passata a lavorare su se stesso, a migliorare, a sbattere continuamente su un muro mentale e materiale. Davydenko è l’espressione di come il talento da solo non ti porta da nessuna parte e che attributi come perseveranza, resilienza, caparbietà sono di fondamentale importanza nella scalata alla grandezza. Tanti auguri, Nikolay!