Festa della Donna: nessuno è uguale finché non lo saremo tutti

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Di Arianna

Oggi è la Festa della Donna, e non capisco ancora cosa ci sia da festeggiare. Sono una donna e sono nata negli anni ’90. Direi che “sentirsi inadeguata” è il mio secondo nome. Il mondo mi ha insegnato che se fossi nata uomo sarebbe stato tutto più semplice, m’ha insegnato che “auguri e figli maschi” significava che non avrei dovuto faticare così tanto a sopravvivere se avessi avuto qualcos’altro nelle mutande: nel lavoro, nella vita, per essere presa sul serio, per strada, quando mi stringo nel cappotto al buio e comincio ad accelerare il passo. Perché ho paura di un’ombra. Quell’ombra è il patriarcato che a volte fatico a combattere. A scuola ci insegnavano che eravamo diversi, il papà legge e lavora, la mamma cucina e stende i panni. Il blu e il rosa. Le bambole e le macchine. Niente di complementare. Diversi. L’esemplare diverso, però, nella società in cui viviamo mette paura, diverso significa qualcosa da combattere, è inferiore, è un fantoccio da demonizzare. Poi hanno cominciato a parlare di sesso debole (ma rispetto a cosa, poi) di principesse, di “una signorina non farebbe mai così“, e poi di emancipata. E poi passi ore e ore seduta dalla psicologa a chiederti perché ti senta inferiore. Rispetto al mondo, rispetto a tutti.

Mi sembra così ovvio che poi le donne si sentano inferiori a prescindere. Che ti salga il cuore in gola se sei sola, che hai paura del vestito troppo corto, che al colloquio di lavoro ti chiedono se sei single o vuoi rimanere incinta, se chiedi in farmacia la pillola del giorno dopo poi tutti ti guardano indignati. Se percepisci un salario inferiore, se hai fatto carriera e si chiedono se sia merito del faccino o del paio di gambe. La società è malata, e fa ammalare anche noi.

Ma qualcuno s’indigna? No, per la Festa della Donna qualcuno si limiterà a regalarti una mimosa, o un’edizione speciale del tubo dei Baci Perugina. Io vorrei che dispensassero indignazione, oggi. Per un’indifferenza così profonda, per un silenzio assordante. Io non la voglio l’indifferenza. E’ il seme dell’ignoranza, di una società che affonda, di una società che ci mette l’uno contro l’altro, di donne che odiano le donne, di uomini che ci preferirebbero zitte.

 Ho una rivelazione da fare: tra femminismo e libertà, io preferisco la parola libertà. Le parole in -ismo non mi sono mai piaciute, a volte portano guai. A me piace la parola libertà, preferisco pari opportunità. Preferisco che essere diversi è bello, ma scoprirsi lo è ancora di più. Che poi, se solo avessimo avuto davvero voglia di scoprirci, avremmo capito tutti che siamo più simili di quanto pensassimo. Che la sensibilità sarà pure di genere femminile, ma è parte dell’uomo. Che ad “avere le palle” sono bravi tutti, pure le donne, solo che ci vuole anche coraggio a tenersele dentro. Non solo ad averle nelle mutande.

Cari uomini, care donne, se oggi porgerete i vostri auguri, auguratevi tanto coraggio, a vicenda. Oggi auguratevi “Abbi coraggio”. Abbi coraggio di ribellarti, di unirti, di spaccare il mondo, ma insieme. Di marciare insieme, di dire di no. Che la dignità non ha genere. Così come i diritti. Finché non avremo tutti gli stessi diritti, finché nella società non avremo tutti la stessa dignità, allora non l’avrà mai (davvero) nessuno.

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