Non giocate Elden Ring. Non immergetevi nell’Open World più vario e ispirato, denso e convincente degli ultimi anni post-Zelda Breath of the Wild. E non tentate di sfidare le insidie che From Software, con la guida del maestro Miyazaki, ha confezionato, bilanciato, cucito su misura per lore, trama, ambientazione, contesto. Non cercate di fendere le nebbie della narrazione ambientale, dei documenti, dei quadri e dei dialoghi; delle descrizioni degli infiniti equipaggiamenti tutti diversi e unici le cui Storie, con la S maiuscola, sono addensate ulteriormente; caratterizzate dalla mano inconfondibile di George R.R. Martin. Che no: non è stato un mero prestanome; ma un attore importantissimo. I cui interventi sono riconoscibili a chiunque abbia il desiderio di approfondire la sua produzione letteraria. Anche e soprattutto quella extra “Game of Thrones”

Non giocate Elden Ring, se non siete disposti a intraprendere un viaggio nella geometria non-euclidea, attraverso tempo e spazio circonvoluti su loro stessi finché il passato, il presente, e il futuro del videogioco non siano più riconoscibili gli uni dagli altri. Un viaggio che per attraversare il velo del domani, guarda a ieri ancor più intensamente di quanto un Souls abbia mai fatto. Per approdare nella leggenda. Per fendere, ancora una volta, la tela del media videoludico, rovesciare l’orinatoio del “mondo aperto” e urlare: e ora? Che farete da ora in poi? 

Quello di Elden Ring è un “terremoto calmo” riconoscibile; mai alienante (anche quando è estremamente “alieno”) se non a chi deciderà (meno male) di non seguire il finto consiglio che fa da titolo al mio personale articolo-elogio di Elden Ring. Non una recensione (stavolta davvero, mica come nella review di Horizon Forbidden West eheh), dal momento che colleghi illustri e meno noti hanno già espresso lo stesso verdetto che ero pronto a marchiare a fuoco per voi sul gioco; premiandolo con un riduttivissimo 10 pieno. Bensì una ragionata disamina dei motivi che mi hanno spinto a pensare più volte, nel corso delle mie run in gioco, che Elden Ring è il titolo imprescindibile della nostra generazione. Però, se volete fermarvi al voto, vi accontenterò: eccolo.

ELDEN RING RECENSIONE | TESTATO SU PC

+Un Open World articolato come non se ne vedevano da anni
+Dungeon da vivere come dei Mini-Souls con regole sempre diverse
+Boss Fight indimenticabili, sistema di combattimento (souls) generale evoluto al suo massimo potenziale
+Narrazione ambientale (e non) profondissima e unica
+Cartografia muta della regione esplorabile PERFETTA 

-Su PC serve ancora lavoro tecnico per il porting
-Un Quest Log (anche solo accennato) sarebbe stato gradito
-Troppi granchi (scherzo, sono io che li odio e basta)

VOTO 10

(perchè non potevo mettere 11)

non giocate elden ring

Però… se il numero è tutto ciò che conta, se nemmeno queste poche righe dopo di esso vi raggiungeranno, allora forse From Software ha fallito. E io con lei. Perchè Elden Ring è la prima esperienza dopo tanto tempo che riesce a dimostrare persino ai più reticenti l’impossibilità della definizione numerica per i videogiochi. L’individualità tradita, la marcescenza (per citare il gioco) di un sistema che non può più funzionare. E al quale ci aggrappiamo per trovare certezze e semplificazioni. Ma lo ripeto: se è una roccia che cercate in Elden Ring, un lingotto dorato incriticabile e indistruttibile, lasciate perdere. 

Non giocate davvero a Elden Ring, in questo caso estremo. E non dispiacetevi troppo: semplicemente, non è l’avventura che fa per voi. Ben lungi dall’essere perfetto, sia chiaro, Elden Ring è però un chiarissimo statement: una dichiarazione di intenti inconfondibile. Anche se potremmo stare ore a disquisire sul fatto che la perfezione esista o meno, se non altro posso dichiarare senza sbagli che: Elden Ring è perfetto per i giocatori di oggi; per spiazzarli con disabitudini eccezionali, tanto per iniziare. Per esempio con la domanda… dove ho messo carta e penna?

non giocate elden ring

Non giocate Elden Ring, questione di Quest-log

Vi ricordate i libretti di istruzioni nei vecchi giochi confezionati? Se no, allora siete arrivati ai videogiochi nel momento storico in cui la loro produzione è stata interrotta. Per non inquinare, dicono le aziende. Per risparmiare, dato che li leggevamo in quattro, dico io. Ma quale che sia la ragione, comunque la maggior parte dei libretti comprendeva un tot di pagine vuote alla fine; bianche o al massimo con delle righe per orientare il testo che vi avremmo scritto. Proprio per quelle pagine bianche, ho fortemente desiderato che Bandai Namco avesse deciso di dimenticare la lotta ambientalista (alla quale sono molto legato eh n.d.r.) solo per consentirmi di avere un taccuino serigrafato Elden Ring; su cui appuntare il mio quest log personale.

Ma nonostante io sia un fan dell’ analogico e del cartaceo; anche se mi sono divertito oltremodo a segnare nomi di personaggi, location, percorsi e destinazioni su un quaderno che ho acquistato appositamente per l’occasione; sebbene sia evidente che From non ha voluto inserire un quest log digitalizzato in gioco per mantenere una continuità con i souls passati, nonchè per una precisa scelta stilistica… beh. Forse, i dev di Ubisoft ed EA che si sono espressi in merito su Twitter nei giorni scorsi tutto questo torto non lo hanno.

Così come non ne aveva l’ingiustamente vituperato commento del collega di Multiplayer: “la possibilità di perdere parte dei contenuti è alta”. Ci sono davvero troppe strade perseguibili, personaggi interagibili e modi di sbagliare una quest, e di conseguenza perdere ricompense e frammenti di storia, per non avere un quest log quantomeno accennato. Un “Journal” magari, con la trascrizione dei dialoghi importanti, o dei fondamentali di ogni scoperta.

D’altro canto, lo ripeto, la scelta di non inserire un simile strumento è assolutamente autoriale e ragionata. Pensata proprio nell’ottica di “viaggio temporale d’involuzione” che citavo a inizio testo. Elden Ring, infatti, è un titolo proveniente dal passato, proiettato nel futuro e da vivere il più intensamente possibile nel presente. Come tale, non può permettersi di sbagliare nemmeno il più piccolo dettaglio caratterizzante la sua “vetustà”; e il suo genere. Non può imboccare il giocatore con un quality of life improvement come un Quest-Log/Journal, quindi, per lo stesso motivo per cui Animal Crossing non può farvi craftare più oggetti identici contemporaneamente. Perchè non vuole che lo facciate; non perché non potrebbe, agevolmente, farlo. 

non giocate elden ring

La voce della cartografia muta

Tuttavia, data la natura Open World del titolo, From Software non ci ha davvero abbandonati a noi stessi. E ci ha regalato la cartografia muta di un Open World migliore che io ricordi. Sì: anche superiore a quella di Zelda Breath of the Wild. Da laureato in ingegneria edile (weird flex in questo contesto, ma serviva specificarlo) ho avuto modo di apprezzare pienamente lo sforzo creativo che ha condotto al tracciamento di una mappa muta (inizialmente senza indicazioni su premi/destinazioni/nomi ecc.) che però parla sempre a voce chiara; ma solo ai più attenti ascoltatori. 

Una mappa con una colorimetria sibillina ma onnipresente, tanto per cominciare. Che riserva al color rosso il significato di “pericolo” o “sfida”. Ma anche una cartografia con innumerevoli simboli celati, almeno all’inizio, dallo stile medievaleggiante che la permea; e la rende ancor più misteriosa. Cosa sarà quella traccia vicino alla costa di una montagna? Un portale per una grotta? L’accesso a un dungeon? Oppure solo un avvallamento particolarmente pronunciato? E quella torre? Sarà accessibile, un mero orpello estetico, o ancora un punto di riferimento “Lynciano” (ci arriviamo eh), che ci permetterà di orientarci nell’Interregno senza bisogno di aprire costantemente la mappa mentre incediamo a dorso del fido Torrente?

Con il senno di poi, mentre le ore si accumulavano, ho iniziato a prenderci la mano sempre di più. Finché, come preannunciato, la cartina muta non ha iniziato a raccontarmi la sua storia, i suoi segreti. Mai realmente esplicita, e per questo ammaliante. Ma anche mai bugiarda, o deludente. Tanto apparentemente vuota all’inizio, quanto in realtà talmente piena da spiazzare il giocatore, quando si accorge dei progressi fatti, o di quelli ancora da fare. Coperti dal grigiore di una sezione ancora inesplorata; o preclusi da una sfida ancora troppo intensa per noi. Quale che sia la ragione delle tante possibili, una cosa è certa: il tempo trascorso cercando di sentire la voce della mappa dell’Interregno non è mai sprecato. E ci prepara per l’esperienza principale: il pellegrinaggio che affrontiamo in quanto Senzaluce.

non giocate elden ring

Kevin Andrew Lynch: orientarsi in Elden Ring

Restate con me per un secondo: non ve ne pentirete. Kevin Andrew Lynch è stato un urbanista di fama mondiale. Quindi, un professionista nella gestione degli spazi, dei percorsi, dell’organizzazione urbana delle città che quotidianamente attraversiamo nella vita reale. Nel suo libro “L’immagine della città” Lynch definì, tra le altre cose, l’importanza della natura intuitiva della percezione che abbiamo delle nostre città mentre le esploriamo. In breve, la natura del territorio, l’interpretazione dello spettatore (noi) e il comportamento che ne consegue (attraversamento dello spazio) sono non solo legati tra loro, ma anche reciprocamente interdipendenti.

Quando uno si modifica, gli altri cambiano di conseguenza. Infine, Lynch schematizzò gli elementi costitutivi dello spazio, per semplificarlo; e li divise in percorsi, margini, quartieri, nodi e riferimenti. Tutti indispensabili a un osservatore per garantire una percezione degli spazi e un conseguente attraversamento coerente con essi. Un attraversamento “guidato” impercettibilmente, “determinando le condizioni per l’assunzione di scelte e comportamenti nello spazio” dirà Lynch. Il concetto è definito “figurabilità” dello spazio. E a mio avviso, in Elden Ring non solo è pienamente rispettato; ma è anche una delle ragioni per cui l’Interregno è così soddisfacente da visitare.

C’è tutto Lynch in Elden Ring. A partire dagli elementi costitutivi dello spazio: i percorsi sono evidenti. Siano fisici, ovvero le strade che ci conducono tra punti di interesse notevoli come castelli e rovine; siano “eterei”, come le scie luminose che collegano le grazie (punti di salvataggio) o che originano dalle inquietanti statue che ci portano fino alle grigie catacombe dimenticate.

I margini, sotto forma di corsi d’acqua, pendici montuose e altri eventi naturali; o, in alcuni frangenti, Boss fight non evitabili o nemici comuni talmente tosti che fungono da monito, e dunque da “muro” per giungere a una porzione avanzata del titolo. Mai davvero invalicabili, proprio come i margini che Lynch ha descritto. Bensì sempre “trasparenti”, e perciò “a margine” solo finchè non decidiamo di sforzarci per attraversarle. Sapendo già che dall’altro lato troveremo qualcosa per cui valga la pena spendersi. I quartieri, ovvero le regioni dell’Interregno caratterizzate da palette di colori indizio della loro pericolosità o natura (magica, minerale, naturale, artificiale ecc.). 

Infine, i Nodi e i Riferimenti. Spesso coincidenti in Elden Ring, che fin dal primo istante nella mappa Open World attira la nostra attenzione verso alte guglie, profonde vallate, misteriose radure e altri “luoghi notevoli”; ben visibili dalla distanza, simili riferimenti, spesso posti sui nodi dei percorsi che calchiamo, ci attirano, e allo stesso tempo ci permettono di orientarci a colpo d’occhio. Per poi disperderci verso mille altri luoghi sempre a portata di sguardo.

Non giocate Elden Ring, l’importanza di chiamarsi “Souls”

E poi? Che si fa una volta arrivati a destinazione? Potrei rispondervi che in Elden Ring è il viaggio che conta. Che vi basterà osservare l’alternanza giorno-notte, il susseguirsi degli agenti atmosferici (nebbia, pioggia, tempesta ecc.), l’incedere dei mob e il loro alternarsi anche in base ai summenzionati cambiamenti di stato dell’Open World (meteo e ora del giorno). Ma mentirei spudoratamente.

Non sul fatto che non basterebbe: quello è vero. Ho passato ore solo a muovermi senza meta, accorgendomi di nemici che si incontrano e decidono di combattersi tra loro; di storie raccontate dalla presenza, o meno, di un mob in particolare; di Boss che compaiono quando meno te lo aspetti nel bel mezzo del tuo cammino, per testare la tua forza e il tuo coraggio. O la tua intelligenza nel metterli in scacco, “cheesarli(batterli sfruttando i limiti del gioco, ad esempio incastrandoli nello scenario o facendoli cadere in un burrone n.d.r.) persino… se ne sei in grado. 

Il fatto, però, è che è impossibile non trovare invoglianti le distrazioni ludiche: dungeon, caverne, castelli, insediamenti, forzieri, teletrasporti, misteriosi dipinti e silenziosi mercanti e via discorrendo. L’interregno è tanto decadente, desolato ed evidentemente colpito dal flagello della rottura dell’Elden Ring, quanto resiliente e vivo. Attraversato da infiniti passaggi, sotterranei, scorciatoie e passaggi in pieno stile Souls. Ma più grandi, più incredibili, più sensati di quanto non siano mai stati. E non è che prima non lo fossero eh. 

Così, mi è impossibile dire che il piatto forte di Elden Ring sia SOLO il suo meraviglioso Open World. Così come non posso confermare che lo siano i combattimenti dall’”anima Souls”; il cui ritmo è stato perfezionato in anni di esperimenti e ibridazioni. Arricchito dalla cura riposta nel crafting degli equipaggiamenti, bilanciatissimi, distribuiti in modo da essere trovati quando ne abbiamo bisogno; o tali da spingerci a migliorare le nostre statistiche per poterli adoperare. Regalando infinite soddisfazioni quanto ci accorgiamo che non esistono oggetti davvero inutili in Elden Ring. E che, ricordatelo sempre, le battaglie più dure non le vincerete solo pigiando a muso duro su due pulsanti. Ma sfruttando tutto l’arsenale messo a disposizione di armi, magie, equipaggiamenti craftabili, bombe, frecce, fiasche, spiriti evocabili off e on line.

Finchè non ti accorgi che Elden Ring è una vera e propria cornucopia che riversa in continuazione ragioni diverse per mantenerti avvinto tra le sue spire dorate. Come i Souls? Come gli Open World? O come un Souls (il primo) Open World? Certo. Ma anche, e forse soprattutto, in molti altri modi differenti, combinati, unici, che ancora non hanno una definizione. E che, da oggi, forse chiameremo elementi “Ringlike”.

Figli delle stelle…

L’ho lasciata per ultima. Come si suol dire, non per importanza, o forse sì. Ma nel senso che è talmente predominante in Elden Ring, che fa da faro guida, o meglio, da polo d’attrazione gravitazionale per ogni altro elemento costitutivo dell’esperienza. Sto parlando, ovviamente, della Lore; della narrazione ambientale. Che in Elden Ring è curata a quattro mani dal maestro Hidetaka Miyazaki e dal noto scrittore George “Trono di Spade” R.R. Martin. La cui mano è riconoscibile praticamente ovunque in Elden Ring, a volte leggera, a volte più marcata.

A volte sotto forma di citazione quasi invisibile, e improvvisamente esplosiva; indispensabile anche solo nell’aver aiutato Miyazaki a deviare quel tanto che basta dai suoi topos letterari prediletti. Per condurlo in un reame dove magia, scienza, sogno e realtà si mescolano entropici e bellissimi. Sui binari disseminati di deviazioni e convergenze degli scritti e delle leggende Arturiani, della mitologia e dei “mostruari” orientali, della religione occidentale; dei classici pantheon nordico e greco, fatti incontrare con un’inedita matrice aborigena australiana.

Solo le mani esperte di due geni della letteratura moderna (e ci metto in mezzo anche Miyazaki, sì) potevano riuscire a coordinare il fiume in piena di suggestioni che deriva da una simile abbondanza di citazioni. E che fa di Elden Ring una continua sorpresa non solo ludica: ma anche narrativa. Non mi sono certo dimenticato, sarebbe impossibile, delle reference al Signore degli Anelli, che si aggiungono alle onnipresenti sonorità anime care a From e MIyazaki (Miura, ci manchi).

Ma se vi dicessi, in aggiunta a tutto ciò che avete udito fino ad ora, che non mancano nemmeno riferimenti più o meno velati a un fantascenza prestata al fantasy? Che nell’Interregno si nascondono pericoli “figli delle stelle”, aberrazioni che solo Lovecraft avrebbe potuto teorizzare prima di oggi? “Come in Bloodborne?” mi chiederete. Sorrido, e non vi rispondo. Non per cattiveria, anzi. Perchè preferisco lasciare a voi tutti il piacere di disobbedirmi. E di giocare Elden Ring. Anzi: di viverlo.

Ah, un ultimo appunto: “so easily forgotten”. L’Elden Ring è stato frantumato. Le rune di cui è composto, e che a loro volta compongono il mondo, la vita, e la morte, sono disperse per l’Interregno. Se, come me, avete scelto di giocare su PC, ci sarà altro a rischio di frantumarsi nel corso della strada: gli FPS. Allo stato attuale, infatti, lo stuttering è un fenomeno costante e inevitabile sulla versione computer. Ma certo che qualcuno, From o i fan (ahia) sistemeranno presto quest’ultima magagna tecnica, rientro con piacere nella mia fantasia, e in quella di Martin-Miyazaki per la conclusione di questo articolo. 

Non giocate Elden Ring, in conclusione: ve ne prego, vivetelo

Non giocate Elden Ring. Vivetelo. Iniziatelo con lo spirito del bambino sopito in voi, quello che acquistava un gioco guardando la copertina e pensando che “ci sta”. Il piccoletto che non aveva internet per scoprire cosa fare e quando farlo. O persino, stavolta, perchè farlo. Non giocate Elden Ring: sentitelo crescere dentro come un’emozione, un desiderio di rimanere più a lungo possibile nell’armatura del vostro Senzaluce. Di avanzare un altro metro, faticosamente. Di tentare un’altra volta quel combattimento che sembra impari, e in effetti lo è. Finchè non pareggiate i conti gettando il cuore oltre l’ostacolo. Saltandolo come il vostro personaggio può finalmente fare, raggiungendo dimensioni platform che i vecchi Souls “se le sognano”. 

Elden Ring è un’opera indescrivibile. Che in questo pezzo non ho che accarezzato esternamente; addentrandomi nella sua struttura, cercando di raccontarvela, come fa un ago in una creatura gargantuesca. Per suggere piccole gocce di informazioni, suggestioni, motivazioni che mi aiutassero a urlare con più forza possibile: NON GIOCATE ELDEN RING. Oppure fatelo, sapendo che ne uscirete diversi. Sia che lo abbiate adorato, come è capitato a me; sia che lo abbiate detestato. Tale è la forza dell’anello ancestrale. Tale è la determinazione di MIyazaki e From Software di riformare il mondo videoludico un pezzo alla volta. Runa dopo runa. Lacrima dopo lacrima. Capolavoro indimenticabile, dopo capolavoro indimenticabile.