Novecento di Alessandro Baricco: elogio al limite

Foto dell'autore

Di Rossella Papa

Non si sente certo necessità di un’ulteriore recensione sull’opera forse più celebre di Alessandro Baricco, da cui è stato tratto un film di grande successo e un adattamento teatrale recitato da Eugenio Allegri (quest’ultimo, a mio avviso, un capolavoro, facilmente reperibile in rete).

Né, tanto mento, che si sottolinei il brano più celebre e struggente dell’intera opera di Baricco: lo splendido monologo finale, in cui il protagonista svela il folle disegno che lo ha indotto a trascorrere tutta la vita lavorando come pianista, senza mai sbarcare dalla nave da crociera su cui è nato. Ma proprio riascoltando l’appassionata recitazione di Allegri nel passaggio sopracitato mi è parso di ravvisare l’intrinseco invito a non oltrepassare gli umani limiti insito nell’affascinante parallelo tra musica e vita, tra il pianoforte, su cui quella musica si suona, e le opportunità grazie alle quali quella vita diventa degna di essere vissuta.

Tra le varie affermazioni, volutamente esasperate, di questo protagonista sopra le righe, ce n’è una che getta una fulgida luce sull’essere umano e le sue pulsioni, così pesantemente represse nell’eterna castrazione che Danny Boodman T.D. Lemon Novecento mette sistematicamente in atto per tenere insieme la sua esistenza.

La recensione e le considerazioni su Novecento di Baricco

Limite come umana peculiarità

Si parla della terraferma (mondo che il protagonista rifugge per una sorta di agorafobia) come di una serie di illimitate opportunità in cui si rischia di perdersi, un ventaglio di scelte tra le quali è impossibile operarne una a ragion veduta. Nel parallelo musicale viene assimilata a un pianoforte dalla tastiera infinita, perciò fuori dalla portata dell’essere umano (…quello è il pianoforte su cui suona Dio! Osserva Danny, rimarcando con sarcasmo la blasfemia di essersi seduti sullo sgabello sbagliato).

Mentre il mondo in cui il protagonista sceglie di vivere è l’universo limitato della tastiera classica, fatto di soli ottantotto tasti che nessuno può mettere in discussione. Uno spazio finito, ben circoscritto, che lui conosce e padroneggia con grande maestria e creatività.

Libertà interiore tra rigidi confini 

Non sono infiniti loro… afferma accorato Novecento riferendosi ai tasti bianchi e neri, ai diesis e ai bemolli …TU sei infinito… e, su quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare.

Simile allo svelamento di un segreto che contraddice il pensiero corrente, suggerisce come la vera ricchezza non stia al di fuori di noi. Che le occasioni, le scelte, le possibilità non saranno mai abbastanza se non troveremo dentro di noi il coraggio o la fortuna di riconoscere la nostra strada. Al contrario, potranno soltanto confonderci.

Pur senza la necessità di avallare in toto l’insano progetto di sistematica demolizione dei propri sogni per adattarsi a un mondo ristretto, non possiamo ignorare come, per avere la forza di essere infiniti e godere dell’illimitata libertà che ne deriva, occorra conoscenza profonda e l’umiltà di riconoscere che questa non potrà che riguardare un ristretto ambito. Entro quel confine, come sulla tastiera di un pianoforte, potremo esserlo e su quei tasti sarà infinita la musica che potremo suonare.      

Articolo a cura di Piero Malagoli

Seguici su

FacebookInstagram, Metrò