Nel quarto appuntamento della nostra rubrica StoryLine abbiamo scelto, visto l’avvicinarsi della giornata internazionale contro l’omofobia, di dedicare il nostro racconto “Omofobia”, ispirato a una storia vera, a questa terribile forma di pregiudizio che spesso sfocia nella violenza. In particolare vogliamo dedicare il testo a tutte le vittime di omofobia. Lo riproponiamo oggi per non dimenticare mai.
Omofobia, l’inizio
Aprì e chiuse velocemente gli occhi, mentre la luce gli tagliò brevemente lo sguardo che si posava sfocatamente sulla sua mano destra segnata da alcune bruciature di sigaretta. La testa era avvolta da brevi grandangolari visioni di una figura irriconoscibile e da una voce che gli urlava insistentemente “Sei un uomo? Sei un uomo?”. Mentre tentava affannosamente di rialzarsi sentì alleggerire il peso del suo corpo come se migliaia di braccia lo sollevassero. Poi più nulla finchè una luce gli colpì gli occhi mentre un’altra voce rauca gli chiedeva: “Signor Antonio Solava, riesce a sentirmi?”. Non riuscì a pensare ad una risposta mentre la sua mano toccava una superficie morbida che gli ricordava il suo letto. Forse era stato solo un sogno, era ancora a casa sua ed un uomo che non riusciva a distinguere, mentre una mano gli stringeva la gola, gli chiedeva ripetutamente “Sei un uomo?”. Non sapeva cosa rispondere mentre il suo pensiero lo portava indietro, a quando aveva conosciuto il suo amico Tony. Era un intellettuale con un certo savoir faire e piaceva alle donne che incantava con i suoi versi. “Il più grande peccato dell’uomo è non conoscere l’animo femminile”,aveva scritto una volta Tony ,mettendo in moto la sua immaginazione. Si domandò quale poteva essere una donna perfetta, qual essere poteva avere tutta l’attenzione di quest’uomo che lui bramava. Sorrise poi un pugno e l’immagine sfocata di alcuni piedi che si allontanavano.
Mi chiamo Teresa
“ Antonio Solava riesce a sentirmi?”, gli disse nuovamente una voce mentre una luce gli entrava nuovamente negli occhi e qualcosa sembrò pungergli il braccio. “Mi chiamo Teresa”, gli era venuto in mente come risposta. Questa frase l’aveva già detta pensò accarezzandosi lievemente mentre goccia a goccia si ridisegnavano nella sua mente le immagini di quel momento. Si era vestito da donna, indossando di nascosto un abito della madre morta e truccandosi goffamente. Si era persino scattato un selfie e lo aveva inviato a Tony con la didascalia: “Mi chiamo Teresa, sono la tua donna ideale”. Questi l’aveva preso sullo scherzo ma in Antonio nasceva sempre più il pensiero ed una convinzione che lo spingeva a cambiare. Qualche giorno dopo aveva persino cercato un sito per operarsi per cambiar sesso. Che giorno strano quello in cui aveva pensato per la prima volta di sentirsi libero. Poi una fiammata sulla mano, una porta che si chiudeva e una voce rabbiosa che diceva “non esci di casa finchè non sei guarito”. In seguito uno strappo, un disco gelato sul cuore, alcuni sussurri di parole ed una nuova puntura. Antonio provò a rigirarsi e il sentore di morbidezza che avvertiva lo convinse di essere ancora a casa, sul suo letto, in camera sua.
La malattia dell’ignoranza
Sembrò trovare pace e di nuovo nei suoi occhi rifiorì quell’immagine di Tony e quelle ultime parole che gli aveva detto: “Sarò sempre come tu mi vuoi”. Voleva gridare il suo amore al mondo intero ma al tempo stesso spaventato da quell’enorme sentimento tenne la sua passione per se. La sua forse era davvero una malattia o era semplicemente malato perché diverso in un mondo di persone che si ritenevano sane. Poi improvvisamente la paura, la porta che si aprì , il computer fermo su siti dell’operazione per il cambio del sesso, un pugno e la gola che soffocava mentre suo padre gli chiedeva “Sei un uomo?”. Un urlo, poi il risveglio mentre una voce gli diceva “Signor Antonio Solava riesce a sentirmi?”. “Mi chiamo Teresa ma cosa..”, sussurrò appena. “Beh può chiamarsi come le pare”, rispose un medico che era a fianco a lui, “io sono il dottor Farinelli lei è ricoverato in prognosi riservata da due giorni, dopo che suo padre per nove mesi l’ha conciata per benino”. “Io sono malato”, disse sconvolto senza rendersi conto della situazione. “In verità”, riprese il medico, “lei è vittima della più grave malattia dell’uomo, l’ignoranza”.