Orazio, l’autunno nelle Odi: nello spazio dedicato alla cultura classica, ClassicaMente, la condizione umana e la caducità della vita paragonata, successivamente, allo scorrere delle stagioni.
Orazio, l’autunno nelle Odi e lo scorrere della vita
L’autunno, momento di malinconie e tempo di silenzi. Una delle stagioni, probabilmente, più cantate dai poeti antichi e moderni: i colori caldi, gli odori intensi, le atmosfere brillanti del giorno che si incupiscono con il crepuscolo. L’autunno avanza dopo l’estate con la sua fioritura di foglie purpuree: una stagione, quindi, tutt’altro che arida tanto che lo stesso Orazio definiva l’autunno pomifer, portatore di frutti:
”Appena l’autunno ha versato i suoi frutti ricorre la bruma, inerte.”
Ma, nelle Odi di Orazio, si riscontra anche il tema della brevità del tempo e della vita paragonata al fluire delle stagioni: il concetto di fuga temporis proprio del poeta, descrive il tempo, per l’appunto, in perenne e perpetua fuga: non c’è tempo per le speranze, né certezza per il futuro poiché, l’unica certezza da mettere in pratica è godersi il presente; da qui il noto ”Carpe Diem” oraziano. Da questo modello concettuale di fuga temporis, trarrà inspirazione anche Francesco Petrarca nel Canzoniere. Risulta chiara come, la concezione di morte per il poeta, influenzi l’esistenza dello stesso.
”E non sperare cose eterne, l’annata ripete
e l’ora che ruba il fertile giorno.
Il vento della primavera
mitiga il freddo, e la grande estate l’estingue,
e appena l’autunno avrà versato i suoi frutti e le biade,
perirà, torna l’inverno immoto.”
La morte non è la meta finale: è un qualcosa che scorre con i giorni degli uomini che lasciano dietro sé stessi, e che investe, estinguendo, tutto ciò che è stato.
L’ autunno e brevità della vita
La natura muore e si rinnova in un eterno ritorno con l’avvicendarsi delle stagioni: ma gli uomini periscono e non ritornano più in vita, passano, senza lasciare traccia. Nell’Ode dedicata alla stagione autunnale, nello specifico, preceduta da quella primaverile dove il poeta Orazio riflette sull’inevitabilità dello scorrere del tempo, ritorna il motivo della brevità della vita: il paesaggio proprio della stagione fa in modo che chi scrive si proietti sul tempo che sfugge e nella caducità di quest’ultimo.
Orazio usa un’immagine potente, a questo proposito, proprio per esprimere la vita effimera della natura umana; l’uomo è destinato a sfiorire come la rosa tardiva. La morte è quindi una potenza invincibile a cui, anche gli Dei devono sottomettersi con obbedienza.
Stella Grillo
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