Una delle citazioni più usate nel gergo internazionale e non solo: fonte di ispirazione per film ed opere letterarie dall’antichità ad oggi. Parliamo di “Carpe Diem“. Il celebre aforisma del poeta Orazio. Ma davvero era un inno alla vita o cela un sentimento pessimista dello scrittore?
Proprio oggi, 27 novembre, ricorre l’anniversario della morte del celebre Quinto Orazio Flacco. Ci lasciava a 57 anni. Oggi sepolto sul colle Equilino, a Roma, accanto all’amico e sostenitore Mecenate. Ma chi era Orazio? Conosciuto da tutti per uno dei suoi più celebri versi, “Carpe Diem“(cogli l’attimo); l’artista viene spesso presentato come un uomo ottimista, che sa godere della vita terrena. Si convertì all’ epicureismo, insieme a tutti quegli intellettuali sempre concentrati sui grandi dilemmi esistenziali. Quesiti ai quali non vi era risposta.
Pensare a questo poeta come ad un uomo pessimista, ci fa davvero strano. Lui che tanto incitava il lettore alla socievolezza e a godere del presente e delle sue piccole gioie, quali: l’amicizia, il convivio e la pace interiore. In realtà il suo animo era tormentato ed ambiguo. Arriverà a sostenere che nemmeno la religione, potrà mai dare consolazione e conforto alla paura più grande che ogni uomo ha: la morte.
Orazio e l’angoscia per la morte
Orazio vedeva la morte come una triste accettazione di un fatto naturale ed inevitabile. Era così timoroso di questa, che preferiva fuggire, concentrandosi sul vivere il presente. Ma la fine, secondo il poeta era sempre in agguato, infatti ogni giorno vissuto, era scampato alla dipartita ed è impossibile per lui poter riporre speranze in un futuro o nei giorni successivi. L’attimo fuggente nasce dunque dall’amara rassegnazione che il tempo brucia velocemente e non torna più.
L’ars vivendi, proposta da Orazio, cela quindi, dietro un’apparente frivolezza godereccia del vivere, una profonda angoscia pessimista della fine terrena, alla quale non esiste rimedio per sfuggirne. La vita assume allora l’aspetto di una piacevole distrazione per non pensare alla fine, ma un animo sensibile come quello del poeta era comunque tormentato ed irrequieto.
La conquista del pianeta Mercurio
L’eredità poetica di Orazio ancora oggi fa parte del nostro vivere e del nostro bagaglio culturale. Proprio questa contemporaneità, ha spinto gli studiosi ad intitolare ad Orazio, addirittura uno dei crateri del pianeta Mercurio (Horace). Ed era inevitabile che il suo nome e tutto ciò che evoca, intramontabile ed eterno, arrivasse fino allo spazio, dove il tempo è indefinito ed immortale.
Chiara Bonacquisti