C’è stato un tempo in cui le donne famose hanno dovuto pagare lo scotto dell’iper-sessualizzazione che veniva attribuita loro, un periodo in cui la loro sensualità era percepita come il lasciapassare necessario alla degradazione intellettuale della persona, un momento in cui le donne non solo erano calcificate nel ruolo che gli uomini costruivano per loro ma anche messe pubblicamente alla gogna e costrette ad accettare il tutto; come se fossero, per la loro bellezza, meritevoli di azioni e comportamenti che, oggi, definiremo ingiustificabili. I tempi sono cambiati ma neanche vent’anni fa si narrava la storia falsa di showgirl, attrici, modelle, cantanti e ballerine come quella di donne totalmente incapaci di avere un’attività intellettuale perché colpevoli di suscitare l’interesse sessuale degli spettatori maschili.

Forse parlare di cambiamenti veri e propri risulta molto azzardato; meglio ancora possiamo dire che l’iper-sessualizzazione del mondo audiovisivo è passata dall’essere totalmente esplicita e senza filtri a un’appropriazione -sempre maschilista- che tende a rendere i confini tra appropriazione e maschilismo molto confusi. Pamela Anderson è la donna per antonomasia di questa sovrapposizione culturale, che mescola insieme la volontà di essere desiderata dal pubblico maschile (e quindi accontentarlo) e la costante spinta a impadronirsi di tutte le parti che la compongono, cercando di mantenere insieme i pezzi. Pamela – A Love Story si pone come obiettivo quello di celebrare i pezzi che sono rimasti e rendere omaggio a quelli che sono stati divorati dal tritacarne umano del mostro mediatico.

Pamela – A Love Story: eros e agape

https://www.thegate.ca/film/058365/pamela-a-love-story-review-setting-the-record-straight/0

A un certo punto del film Pamela si perde in una sequela infinita di citazioni pseudo intellettuali sul tema dell’amore, tra cui descrive queste due parole greche: eros, ovvero passione, sesso e follia e agape, inteso come dedizione e condivisione. Non credo che abbiano uno specifico fine nella riflessione che ne fa Anderson ma, in generale, emerge prepotente la sua vita dedicata alla ricerca degli affetti, dell’amore in qualunque sua forma – anche controverso, anche tossico. Nella sua vita Pamela non si è mai tirata indietro e tra la sofferenza e la rabbia ha sempre scelto la vulnerabilità e la passione.

Il documentario segue la narrazione dei suoi diari da quando ha subito i primi abusi da bambina al matrimonio tormentato con Tommy Lee. Si delinea il dietro le quinte di una vita che pensavamo di conoscere perché, in fondo, pensiamo quale può mai essere la vita di una persona come Pamela Anderson? E invece si racconta una donna dedita agli affetti, molto timorosa della sua privacy, consapevole che al mondo ha concesso il suo corpo ma gelosissima delle persone che più ama: i suoi figli Brandon Thomas Lee e Dylan Jagger Lee, protetti dal marasma mediatico grazie all’aiuto e al supporto della sua famiglia. Pamela racconta di quanto sia stato difficile uscire dal circolo infernale post videotape, sottolinea quasi in lacrime di come sia lei che il marito avessero rifiutato ogni cifra possibile pur di riappropriarsi delle videocassette private e tutelare la loro privacy. A un certo punto Anderson racconta che lo stress la stava per divorare dall’interno e, piuttosto che corrodersi, ha deciso di lasciare andare tutto e fare la cosa che le riesce meglio: amare incondizionatamente.

Pamela e Tommy, una storia d’amore infinita

Ad un certo punto della propria vita Pamela ha dovuto scegliere tra se stessa e il suo amore per Tommy Lee. Nonostante abbia scelto per il suo bene, l’impatto mediatico ovviamente non è stato lo stesso tra i due coniugi. Pamela ha visto il tramonto della sua carriera al tempo ancora agli albori. Il videotape di Pamela è stato apripista ai successivi videotape di altre celebrità che di fatto, invece, ne hanno lanciato la carriera (da Paris Hilton a Kim Kardashian). Non so dire cosa esattamente sia cambiato nel corso di questi pochi anni, so che è cambiata la percezione del buon costume (finalmente, aggiungerei) ma, nonostante tuttǝ siano state vittime di gravissimo reato di violazione della privacy, a pagarne il prezzo più alto è stata Pamela Anderson.

Rigida nel suo ruolo preconfezionato di sex symbol ha donato il suo corpo alle cause che riteneva interessanti, entrando a far parte del gruppo Peta e utilizzando la sua fisicità per promuovere tematiche di grandissimo spessore internazionale. Pamela Anderson è la vera rock star del nostro tempo che, nonostante abbia ereditato l’anatema che ha ucciso Marilyn Monroe, ha vissuto la propria vita in maniera piena, viscerale, non risparmiandosi nulla e alla quale nulla è stato risparmiato.

Benedetta Vicanolo

Seguici su Google News