Un autobus era il mezzo per sognare, la portava dalla periferia al centro di Roma. Una borgata l’ha vista giocare a campana, saltare sul selciato tra cortili e palazzi, sui riquadri disegnati col gesso. Una cicatrice sul ginocchio ricorda le corse in bicicletta sul cemento. Un luogo che pare remoto, certamente non borghese, dove ti nutri di schiettezza popolare. Così Paola Cortellesi, ha potuto interpretare, conoscendo quella realtà, la vulcanica Monica di “Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto“, film del 2021; lei che pensa che ‘Nel nome della rosa‘ riguardi il giardinaggio. “La mia mamma non era così, ma qualche nostra vicina sì”. Dice Paola, che del suo vissuto ai bordi di periferia ne fa una cartolina.

Monica ripete spesso la frase “con la cultura nun se magna”, ma come nelle favole, si ricrederà che la cultura non è solo della gente ricca, ma la si può trovare nella bellezza di una Roma notturna, o in un pianoforte che suona tra le case popolari. I sobborghi non sono soltanto degrado, abbandono, corrente rubata e servizi assenti, ma nuda essenzialità da cogliere e da vivere. Paola Cortellesi nel film viene arrestata per colpa di merce rubata, nascosta nei fusti dell’olio del suo nuovo locale. Non essendo colpevole, non vuole farsi trovare in carcere al ritorno del figlio, e chiede aiuto a Giovanni (Antonio Albanese), conosciuto come ministro, ma definito semplicemente “pensatore”. Che le farà scontare la pena con un lavoro sociale presso la parrocchia di San Basilio. Completa il cast un pittoresco Claudio Amendola, che interpreta Sergio l’ex marito di Monica, da guardare più che da descrivere.

Paola Cortellesi, periferia come fumo di Londra

Un mondo agli antipodi sullo schermo, ma prepotentemente vero e attuale. Dove vince fare volontariato, combattere per l’integrazione e per la povertà. Le battute ripetute a memoria, dai fan sparsi ovunque, di questa commedia campione d’incassi giunta al suo ritorno. Paola Cortellesi non è passata invano in questo suo personaggio: ha vinto un Ciak d’oro, un Nastro d’argento e un Globo d’oro per l’interpretazione. “Me so’ capita io”, dice da copione, quando qualcuno non la capisce. Con i suoi   pantaloni attillati, tacchi alti, chiome rossoreggianti su top a pancia scoperta con draghi in evidenza. Nove tatuaggi completano la fisionomia. “Ogni giorno sul set ore a ripristinarli. E per due mesi, anche se usavo una parrucca, sono andata in giro con i capelli bicolore: radice scura e le punte rosso fuoco. Quando andavo a prendere mia figlia Laura a scuola, mi guardavano come se avessi sbagliato la tinta“. 

Come un gatto in tangenziale: ritorno a Coccia di Morto” non è un film che fa la morale. O che finisce per dare un significato per forza poetico ai suoi crimini e i suoi mostri. Ma gioca ad esser allegro e commovente, in un luogo dove un ministro e un disoccupato non si distinguono, o un abusivo e un impiegato statale, sono sullo stesso piano. “Tranquillo, frequento solo un prete, l’aiuto a dà una mano ai disagiati recenti e ai poveracci titolari come noi“. Dice Monica. La dura legge delle periferie. Cresciuti a pugni in tasca, con la voracità di mangiare il mondo. Lo sa bene Paola Cortellesi, stella del cinema che firma anche le sceneggiature dei suoi film, per la quale, quei margini, furono palcoscenico naturale. Nella borgata di Bastogi, tra il bronx di Torrevecchia e il Quartaccio, hanno girato il primo film. Giocando con gli abitanti presi a modello, che non si sono offesi, anzi, si sono divertiti a partecipare alle riprese. 

Paola, se non ci fossero state certe strade

Da piccola ricorda Paola, andavamo in Calabria al mare, con tutte le valigie sopra il tettuccio dell’auto: “Papà, appena partiti, metteva l’audiocassetta ‘A me gli occhi, please’ e ridevamo da morire. E quando ho conosciuto Gigi Proietti, dava confidenza, non si metteva mai sul piedistallo, ma per me è sempre rimasto un mito“. Tutto serve e lascia il segno.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema. Seguici