Benvenuti nell’universo narrativo di StoryLine. Nella notte tra il 20 ed il 21 febbraio 2020 veniva ricoverato a Codogno il primo paziente Covid italiano, il cosiddetto paziente 1. Abbiamo perciò scritto questo racconto ispirandoci alla sua storia e dedicandolo a tutte le vittime della pandemia che ha cambiato per sempre le nostre vite
Paziente 1, l’inizio
Era tutto così strano, tutto così leggero. Sembrava che lentamente la mia misteriosa malattia avesse assorbito come un vampiro tutte le mie forze. Anzi forse in realtà sono morto e non me ne sono reso conto dopo che mi hanno addormentato. Una circostanza possibile visto che inizialmente non sapevano dirmi nulla come se una forma di vita aliena si fosse impadronita di me. Nemmeno io inizialmente avevo capito l’innegabile verità che avevo imparato a comprendere guardando servizi giornalistici dalla Cina. Un fatto evidente che mi faceva credere di essere il cosiddetto paziente 1 e che avevo messo da parte imparando a credere all’inganno della polmonite. Una semplice malattia, avevano detto, per cui per un giovane della sua età non ha bisogno di essere ricoverato ma può stare a casa.
“Ensà nianche addu stà a Birno”, commentò poi simpaticamente un operatore sanitario quando fui ricoverato visto che la febbre non scendeva e cominciai a parlare apertamente di coronavirus. Poi qualche giorno dopo m’intubarono e forse sono morto. Continuo a pensarlo ora che vedo solo figure fioche della realtà ma riesco a stare liberamente lontano da essa come un sogno infinito. Mi sembra di muovermi e di non essermi mai spostato come se fossero passati secoli o se il tempo non fosse mai andato a avanti. A tratti infatti mi sembra ancora di sentire qualcuno vicino a me come se i medici non avessero voluto davvero addormentarmi. Altre volte mi sembra che il mondo di prima ormai sia solo fantasia.
Il sogno di tornare a casa
Mi ricordo come se fosse un sogno il momento in cui ero a casa a Birno e la febbre cominciava a salire ed il respiro a mancare. Mia moglie e mia figlia mi guardavano cercando di nascondere la paura che a loro si leggeva negli occhi. Ricordo ancora quando mi decisi di andare al pronto soccorso temendo di scatenare il peggio e cercando poi di farmi forza pensando che l’Europa non fosse la Cina. Ancora oggi le immagini dei miei ultimi passi verso il letto di ospedale appaiono ogni tanto come barlumi di una vecchia vita ora che mi sembra di cominciare a vivere perennemente in un altro mondo. Ora che nessuno mi parla perchè semplicemente non può più o perchè magari stanno mandando uno spirito guida dall’aldilà.
C’è però ancora un frammento del passato che mi fa sperare di essere vivo. Il sorriso di mia figlia e mia moglie quando prima di che mi addormentassero le ho accarezzato il pancione per salutare il mio secondo figlio. “Cercherò a tutti costi di tornare da voi”, avevo detto strappando una promessa ed una lacrima di speranza o forse di utopia. Quando stai per morire non puoi resistere razionalmente ma il pensiero di poter rivedere la mia famiglia mi spingeva in qualche modo a farlo. Il potere dei sogni a volte ti fa cambiare la realtà e il sogno di tornare da mia moglie e dai miei figli mi faceva ricordare quella speranza che non andrebbe mai dimenticata.
20 settimane dopo
C’è stato un tempo in cui pensavo di non svegliarmi più mentre tutto diventava improvvisamente pesante ed i sogni della realtà mi sembravano più frequenti. Si parlava di un mondo in cui non ci si poteva più abbracciare, toccare e nemmeno uscire di casa. Se davvero la vita fosse diventata così avrei ben pensato di restare in quel limbo dove ero finito piuttosto che raccontare ai miei figli in che razza di società avrebbero dovuto vivere. Poi però mi ricordavo come dovevo tornare perchè in fondo amavo i miei cari aldilà di ogni ragionevole abbraccio. Penso infatti che l’amore per una persona si può dimostrare essendo semplicemente al suo fianco in ogni momento della vita.
Per questo ho resistito finchè il display di uno smartphone non mi rivelò cosa fosse davvero accaduto. 20 settimane dopo infatti mi ero risvegliato in una città lontana ancora molto debole come se avessi fatto, per un lungo tempo, un viaggio lontano dal mio corpo. Non ricordavo molto ma ciò che era successo era inconfutabilmente davanti ai miei occhi testimoniato da altri pazienti intubati accanto a me e da molti altri che non ce l’avevano fatta. Io avevo mantenuto la promessa fatta alla mia famiglia ma avrei iniziato a conoscere quel nuovo mondo fatto di distanziamento che avrei dovuto spiegare ai miei figli.
Stefano Delle Cave