Roma, lo scorso 25 Ottobre al Teatro Ambra Jovinelli, giunge “Penso che un sogno cosi”. Beppe Fiorello racconta e si racconta sulle languide note di Domenico Modugno.

Un lupinaro.
E poi un picciriddu.
Forse timido, forse muto, un sogno inconfessabile.
L’adulto narra al bambino ch’é in lui.
L’uomo parla e, col suo vestito buono, si muove dinoccolato sul plumbeo palco
S’innalza, s’abbassa il suo timbro smussando nostalgie.
Alla voce accompagna il gesto. 
Danza sulle reminescenze.
Vibrante, incide sull’aeree i visi dell’infanzia, gli arcaici lineamenti di tempi lontani.
Un padre e il suo canto.
Chitarre e cicoria.
Risate sdentate, case di mattoni, pietre di fiume.
Vediamo ciò che lui vede.
E siamo guardati, apostrofati, chiamati, da quel dialetto cosi vero; così vivo, viscerale.

http://www.laprovinciacr.it/news/news-dalla-scuola/106610/Le-recensioni-degli-studenti-di-.html (PHOTO CREDITS:ANSA.IT)

Beppe Fiorello canta una storia, narra una canzone.
Si potrebbe dire un recitar cantando, melodia nostalgica, ora profonda, ora irriverente.
Prendon forma i rituali, gli aromi, le atmosfere.
Fra gli spiragli del racconto s’insinua il suo canto, Domenico Modugno.
La nota attraversa la vita, ne permea le nicchie e i gesti.

Un uomo coi baffi. Un cielo trapunto. S’insinua in altre vite, ne diviene pilastro.
Un gioco di trasparenze su muri di pietra
Piattaforme scorrevoli, sdrucciole come il ricordo, vivide come lo sguardo di un bambino, di un fanciullo ch’é già uomo.
Dunque una canzone, quella nata da un appuntamento mancato, dalla sagoma fluttuante, da una stampa di Chagall.
Canzone odorata, gustata, sbeffeggiata.
Ora languida ora scintillante.
Suona, fuma, canta, strimpella.
Nostalgia d’un bimbo che non parla.
Nostalgia per la terra amara e bella.

Allegre reminescenze d’una festa del santo patrono.
Atmosfere blu su ricordi in bianco e nero.
Una notte, Sanremo 1958. Volare.

Giorgia Leuratti