Il M5S si aspettava di vincere, ma non con questo margine. Non si aspettava che la forbice con il Partito Democratico si rivelasse così ampia. E ora corrono ai ripari, lanciano sponde agli ex-nemici i quali, da parte loro, si arroccano: “noi siamo all’opposizione”. Ma la situazione potrebbe cambiare.
Non era previsto. O meglio, era previsto che vincessero, ma non con un margine così ampio rispetto al PD. Sapevano che il 5 marzo avrebbero dovuto guardare a sinistra; gli ammiccamenti erano iniziati da prima del voto: il linguaggio meno aggressivo, le lodi a Minniti da parte di Di Battista.
L’incubo di Bruxelles, un governo con M5S, Lega e Fratelli d’Italia non è realizzabile. Il motivo è semplice: il tour di Luigi Di Maio nelle istituzioni finanziarie gli ha fornito un gettone di credibilità che perderebbe un secondo dopo aver costituito un’alleanza con Salvini. Troppo estremo il leader leghista per farlo digerire a un elettorato eterogeneo, dove la componente di chi votava a sinistra è ancora molto grande. Tuttavia le percentuali del PD hanno frastornato lo stato maggiore pentastellato, che ora cerca di portare al tavolo il centrosinistra con più insistenza. Il segnale principale è stata la lettera inviata a Repubblica , in cui il leader del Movimento ha chiesto responsabilità agli altri partiti ma; sottotraccia è un invito alla trattativa indirizzato al Partito Democratico. Fosse stata una richiesta aperta proprio a tutti, sarebbe bastato il blog delle stelle.
Opposizione o Responsabilità?
I Dem l’hanno capito e li tengono sulla graticola. Il mantra dell’opposizione ripetuto dal 5 marzo da tutti gli esponenti PD, ribadito nel documento finale della direzione nazionale di ieri (in cui è stato nominato reggente Maurizio Martina). Al Nazareno c’è la tentazione di spingere Di Maio verso Salvini, consapevoli dell’impossibile combinato disposto Flat Tax/Reddito di Cittadinanza e aspettare sulla riva il passaggio del cadavere della 18esima legislatura per tornare a Palazzo Chigi di gran carriera. Ma di mezzo ci sono la responsabilità di governo, la vocazione maggioritaria e diverse consapevolezze. Su tutte: l’importanza di restare agganciati al traino franco-tedesco in un periodo di congiuntura economica favorevole e la necessità di arrivare al termine del Quantitative Easing (settembre 2018, ma più probabile fine anno) con una struttura solida per non tornare a condizioni simili a quelle del 2011.
Le basi per un accordo
Al centro c’è il Presidente della Repubblica. Ci si affida alla sua saggezza, quasi fosse un oracolo. La situazione è delicata e dal Quirinale ha già fatto appelli alla responsabilità. Teme un altro voto – soprattutto teme un altro voto con
Il Presidente della Repubblica (photo credit: ANSA)il Rosatellum – quindi cercherà un accordo per una maggioranza ampia. Ma, aldilà delle sue funzioni di arbitro, Sergio Mattarella ha una storia politica: è un moroteo e, in quanto tale, è plausibile che preferisca l’accordo tra pentastellati e PD piuttosto che con la Lega. Sia chiaro: accordo, non alleanza.
Le posizioni dei due schieramenti sulla maggior parte degli argomenti sono distanti. Inoltre il M5S paga il linguaggio e i metodi utilizzati durante la passata legislatura. Tuttavia non è impensabile un accordo su qualche tema: modifiche al Reddito di Inclusione, correttivi e non abolizione di Jobs Act e Legge Fornero, per esempio. Oppure coniugando la proposta dei grillini di una Banca Pubblica d’Investimento per le PMI con le idee di Calenda. Renzi il passo indietro l’ha fatto o meglio, l’ha dovuto fare. Qualora lo facesse anche Di Maio, Mattarella avrebbe via libera per affidare l’incarico a un nome condiviso da entrambi i partiti.
Sicuramente entrambi i partiti dovrebbero fare i conti con la loro base: solo pochi giorni fa militanti del PD hanno mostrato la loro contrarietà su twitter con l’hashtag #senzadime; diversi sondaggi evidenziano la propensione per un accordo con la Lega per la maggior parte degli elettori del M5S. Ma il tempo passa e gli animi potrebbero raffreddarsi, rendendo meno amara la pillola .
Il posto giusto?
Infine, bisogna tener conto del fatto che l’Italia è sempre stata una sorta di “laboratorio” della politica. Esempi sono il compromesso storico, la rottura del PCI con Mosca, l’elezione di Berlusconi nel 1994 o un partito nato sul web che vince le elezioni in pochi anni. In diversi paesi europei le forze moderate si sono accordate per contrastare i populisti, ma in nessuno stato hanno tentato un accordo. E se fosse l’Italia il posto dove i due poli riescono a trovare un’intesa?