Perché l’“Urlo” di Munch parla a tutte le generazioni

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Di Redazione Metropolitan

L’urlo” di Munch nasce dall’angoscia esistenziale di un uomo-artista che, con una figura umana schiacciata tra linee e colori surreali, interpreta il male di vivere di un intero secolo. Si tratta del pittore norvegese Edvard Munch, di cui oggi ricorre l’anniversario della nascita.

Diventato un’icona della sofferenza umana, “L’urlo” viene assorbito velocemente dalla cultura pop. Si pensi alle serigrafie replicate in più colori dal maestro della pop art Andy Warohl: “The Scream (After Munch)” del 1984. La cultura popolare si è quindi appropriata di questo dipinto per comunicare nuovi messaggi, subendo inconsciamente la forza evocativa del quadro espressionista.

“The Scream (After Munch)”, Warhol, Credits: © 2013 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / Artists Rights Society (ARS), New York

“L’urlo” di Munch: il segreto nelle scelte stilistiche

Questa è un’opera che indiscutibilmente ha avuto una grande fortuna sia tra gli osservatori che si sono susseguiti negli anni, sia nella storia dell’arte. D’altronde si parla di uno dei cardini della nuova corrente espressionista: un nuovo modo di concepire l’arte e l’espressione attraverso il filtro dell’io dell’artista.

Il successo dell’opera parte da qui: dalla sua forza espressiva, che rivoluziona il paradigma naturalista e visualizza uno spaccato di vita filtrandolo attraverso la propria soggettività. Il pittore riporta in un diario riporta che il quadro è nato dall’”urlo della natura” sentito mentre passeggiava.

Il paesaggio viene investito da quest’urlo. Si tratta di un grido d’angoscia e solitudine che risuona da dentro l’artista e travolge tutto: l’orizzonte, il cielo, l’isola e, non per ultimo, la figura umana con le mani che premono sulle guance quasi a contenere il dolore. Questo individuo non ha alcuna caratteristica identificabile: non ha genere, non ha età, non ha vestiti che lo collocano in una classe sociale.

La deformazione del paesaggio reale, dominato da irrealistiche linee curve, si trasferisce anche su questa figura umana: la investe e la rende soggetto che sente e, al contempo, oggetto che subisce l’angoscia esistenziale. È in questa universalità del soggetto e nella forte sensazione di nauseante movimento, spaesamento e dispersione che risiede la capacità del dipinto di parlare a chiunque, a prescindere da luogo e dal tempo.

L’espressività dell’opera che si fa simbolo condiviso

Il successo de “L’urlo” presso il pubblico lo ha reso un’icona, un’opera citata anche in grandi prodotti della cultura pop come I “Simpson” e “Scary Movie”, dove l’assassino indossa una maschera ispirata proprio a “L’urlo”, fino a conquistarsi un posto anche tra le emoji di Whatsapp. Un piccolo smile con un viso allungato che da giallo diventa blu, le mani sulle guance e gli occhi vuoti.

La capacità dell’opera di raccontare un aspetto della natura umana l’ha resa un simbolo parte di un codice condiviso. Un segno capace di comunicare angoscia, profonda sofferenza, un denso misto di ansia e paura. Per quanto ormai l’utilizzo del simbolo sia talmente inflazionato da snaturarne il significato profondo e intimo, la sua diffusione sugli odierni canali social è la conferma della sua possibilità di comunicare a tutte le generazioni, rendendosi portatrice di un messaggio che, al di là della patina giocosa del suo utilizzo mainstream, ci accomuna.

Debora Troiani

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