Perché Pietro Grasso ha lasciato il gruppo Pd

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Di Redazione Metropolitan

Pietro Grasso ha lasciato il gruppo del Pd del Senato. Una decisione importante e non priva di conseguenze. Motivata dal fatto che veder “passare una legge elettorale redatta in altra Camera senza poter discutere, senza poter cambiare nemmeno una virgola è stata una sorta di violenza”. Ma è davvero tutta colpa del Rosatellum bis? Oppure è stato solo la fatidica goccia che ha fatto traboccare il vaso per il presidente del Senato?

Pietro Grasso, Presidente del Senato credits: gds.it

È una rottura quella avvenuta tra Pietro Grasso, attuale Presidente del Senato, e il Pd. Non c’è parola che spieghi meglio la decisione di lasciare il gruppo democratico per passare a quello misto. Se fossimo ad Hollywood potremmo usare la formula “per incompatibilità di carattere”. Invece siamo nel Parlamento italiano e ci affidiamo alla parole del diretto interessato, che ai giornalisti dice: “E’ stata una scelta molto sofferta“. E poi ha aggiunto:

“Ho ritenuto di lasciare il Pd perché non mi riconosco più né nel merito né nel metodo”

Una scelta che non giunge proprio inaspettata e che arriva nel giorno dell’approvazione del Rosatellum bis a Palazzo Madama. I malumori di Pietro Grasso erano noti da tempo: in Aula, rispondendo al M5S, disse “è più difficile restare che andare via”. Certo, il temperamento del Presidente del Senato è mite, non è uomo da sfuriate o colpi di testa. E questo ha sicuramente aiutato a sopportare il malumore in silenzio. Questo e il suo compito di rappresentare e difendere l’istituzione Senato, motivo per cui ha aspettato l’approvazione della legge elettorale per lasciare il Pd. Ma davvero si può spiegare tutto con il solo Rosatellum? A guardare bene, c’è di più.

Pietro Grasso e il Pd: tutti i dissapori

La rottura tra Pietro Grasso e il partito e Renzi sembra venire da lontano, dai tempi della riforma. Dalle forzature che anche in quell’occasione si fecero a tempi e norme, con escamotage come il “canguro” per tagliare gli emendamenti. Altre divergenze sono arrivate con la campagna referendaria, a causa dei “toni eccessivi e personalistici” utilizzati. Toni poco apprezzati anche dall’allora presidente Giorgio Napolitano, che pure si era impegnato tanto per la riforma.

Ancora screzi tra la seconda carica dello Stato e il Pd lo scorso 24 settembre, quando Matteo Orfini accusò Pietro Grasso di usare i toni “dell’antipolitica” e di non rispettare il ruolo dei partiti. Un’accusa alla quale Grasso ribatté: “Io rispetto i partiti ma loro rispettino il Parlamento”. E aggiunse: “Mi sono saltati addosso senza che io dicessi niente”.

Ma anche nel giorno in cui passa al Senato in via definitiva la legge elettorale blindata dalla fiducia multipla, non c’è solo quello a turbare Grasso. C’è anche Denis Verdini che entra ufficialmente nella maggioranza. E allora forse la misura è stata colma ed è arrivato l’addio con un partito con il quale non si trovava più in sintonia e del quale non condivideva più né metodi usati, né contenuti. Tutto chiaro, tranne una cosa. Se i metodi utilizzati per far passare il Rosatellum hanno provocato tanto malessere perché, per una volta, non dirlo chiaro e tondo prima che sia tutto deciso?

Federica Macchia