Anni ’50, un ring per una partita di boxe. Due donne anziane, vestite uguali, noiose fino all’inverosimile, che leggendo i versi da un taccuino, ripetono le stesse domande a cui il pubblico sa che non ci sarà mai risposta.
La scenografia povera e la trama inesistente, nell’opera diretta e interpretata da Claudia Castellucci, insieme a Chiara Guidi, Il regno profondo. Perché sei qui? in scena ieri sera al teatro Rasi di Ravenna per la Stagione dei teatri, trascina ogni ragionamento nel dubbio e ogni pretesa di senso diventa surreale, ogni domanda un enigma ossessivo che rende soffocante e opprimente la scena.
Domande che si ripetono, petulanti, in un colloquio immaginario con un Dio creato a propria immagine e somiglianza, che si cerca di contraddire e di calare nei propri schemi mentali, nel proprio ragionamento impeccabilmente logico ma tristemente limitato, quasi più per disperazione che per convinzione. Poi la lotta del ragionamento diventa con se stessi, con una ridondanza che sfinisce.
Il commento fuori scena alleggerisce la monotonia con un’eco lontana di manifestazioni in piazza. Poi l’irrompere della pubblicità, la rassegna di modelli comunicativi che scorrono sul fondo, le due donne che su una pedana meccanica ruotano su se stesse come statue che non vogliono cedere sulle loro certezze.
Inizia una discussione sul vero senso della parola Ciao, che si chiude con la risposta più ovvia, un altro ciao, che diverte il pubblico e chiude la scena.
Candidato a due Premi Ubu 2018 per la Miglior regia e Miglior nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica, Perché sei qui? è la terza parte del Regno profondo dopo La vita delle vite e Dialogo degli schiavi delle due cofondatrici della compagnia cesenate Socìetas Raffaello Sanzio diventata adesso Societas. Non è uno spettacolo facile, ma il teatro è anche questo, ricerca e riflessione.