Peter Knowles: il campione prestato a Geova

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Di Redazione Metropolitan

Sport e miniere: un tandem inglese

Settembre 1945, Yorkshire. La festa per la “V” di Churchill è finita ed i grandi polmoni di Cyril Knowles cambiano scenario: dalla fascia dei campi da rugby alle strettoie delle miniere. Perchè la cittadina di Fitzwilliam offre solo questo, denaro ed un destino anticipato. Una delle mete più importanti di Cyril però arriva il 30 settembre, nasce suo figlio Peter.
In un villaggio di minatori la scuola insegna solo come pulirsi dal colore nero, prima dall’inchiostro e poi dal carbone, ma Peter ama lo sport e qualcuno se ne accorge. Il cunicolo che porta in superficie sbuca a Wolverhampton: in barba alle più vicine Sheffield, Leeds e Huddersfield.

All’epoca lavorano a pieno regimo più di 20 miniere nel solo Yorkshire. (in foto, quella vicino ad Huddersfield)
Photo Credits: Underground Histories

Casa e Molineux

Peter Knowles è un attaccante-prodigio che esordisce a 17 anni, ma gli ululati dei Wolves si stanno facendo più flebili e il branco di Stan Cullis non ha più zanne: 3 Campionati, 2 Charity Shields, 2 FA Cup… è tutto un ricordo. Il manager se ne va nel 1964 e si siede in panchina Billy McGarry, la squadra delle West Midlands retrocede comunque in Second Division dopo 41 anni.
Knowles cresce freddo con il piede e caldo d’ingegno, estremi devastanti in campo ma deleteri nella vita lontano del Molineux. Peter è disponibile coi fans ma diventa un ribelle egoista (come lui stesso si definiva) ed il matrimonio con Jean è uno di quelli che ha l’unico risultato d’interrompere un’amicizia: nozze, idillio di poche settimane, litigi e minacce di suicidio.

Peter Knowles
161 gare, 64 gol e innumerevoli assist tra i 17 e 24 anni per Peter Knowles
Photo Credits: JohnDedmonds/Pinterest

Le due ascese

Knowles fa tornare i Wolves in First Division e continua la carriera con vento a favore ma in casa è un nuotare controcorrente. Nel mezzo dell’ennesima tempesta domestica bussa alla porta Ken, un testimone di Geova, che con gentile insistenza toglie il veleno dai tiri dell’attaccante, ma anche dalla sua mente. Peter gli racconta i suoi ricordi di 11enne: la scomparsa del padre, l’appoggiare sul letto il corpo neonato e morto di sua sorella, la crisi isterica di sua madre e la povertà (ancor più del solito) degli anni seguenti. Il calcio per Peter Knowles è un palliativo che dura solo 90 minuti e capisce che, almeno per lui, non è la cura.
L’attaccante alla fine della stagione ’68-69 contatta ancora i Testimoni di Geova durante una Tournée americana, accorgendosi che in Inghilterra i tifosi lo inneggiano come un Dio chiamandolo “God’s Footballer”: questo è peccato.

6 settembre 1969. Una tifosa insegue Knowles prima che rientri negli spogliatoi per l’ultima volta. Lui non si volta.
Photo Credits: wolvesbite.com

Tentazioni e scelta

A 24 anni rilascia un’intervista dove fa trasparire i dubbi sulla sua carriera, i giornali si pompano di questa notizia e gonfiano aria dove non c’è spazio per altra pressione. Passano sei settimane e Knowles si ritira dopo un match contro il Nottingham Forrest. Il fratello Cyril (stesso nome del padre) è una colonna del Tottenham e lo tenta verso la divinità calcistica, Peter allunga la mano ma rifiuta la mela; il calore della Comunità di Geova sa cos’è meglio per lui. Il Wolverhampton gli concede anche un contratto fino al 1982 sperando nel suo ritorno, così come lui predica quello di altre figure. Peter con il ritiro espia le colpe che non aveva e si diletta tra lavori umili con serenità, senza più il bisogno di una messa in suo nome ogni sabato per sentirsi importante.

Peter Knowles
Peter Knowles lavorerà come lattaio, pulitore di vetri e venditore di cravatte.
Photo Credits: News Group Newspapers Ltd

Il “God’s Footballer” diventa un semplice “God’s man” che mai si pentirà della sua scelte e, ancora oggi a 74 anni, predica il Dio che l’ha fatto felice: che sia Geova o se stesso non ce lo racconterà mai nessuno. Perchè alla fine non importa quale allenatore ce lo impone, ciò che conta davvero è giocare bene per gli altri.

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