Peter Pan & Wendy recensione: un’occasione sprecata per il nuovo live action Disney?

Foto dell'autore

Di Sofia Pucciotti

Peter Pan & Wendy recensione: il live action Disney che rimette sullo schermo la storia del bambino che non voleva crescere.

Sono state tante le reinterpretazioni, gli spin-off, gli approfondimenti sull’opera Peter & Wendy, la più famosa mai scritta dall’autore James Matthew Barrie. Riempiva i teatri nell’ormai lontano 1904 e adesso, dopo svariate rappresentazioni, torna sulla piattaforma streaming con una veste diversa, disponibile su Disney Plus.

Peter Pan & Wendy recensione: le novità più interessanti

Come per ogni rielaborazione discussa, si possono ritrovare anche in Peter & Wendy, degli elementi innovativi e diversi, rispetto a tutto ciò che abbiamo visto sino ad ora. Questo però non esclude che non vi siano vuoti e mancanze in grado di deludere lo spettatore, specie se particolarmente legato alla tradizionale resa di Peter Pan, dei suoi personaggi e il suo carattere iconico nel corso degli anni.

Ci inoltriamo, come sempre, in una notte di giochi tra i bambini in cameretta a Londra. Wendy (Ever Gabo J. Anderson) e i suoi fratelli ripercorrono le avventure di Peter Pan e brandiscono spade finte tra un letto e l’altro della stanza, proprio come siamo abituati a vedere.

L’elemento innovativo, ben inserito dal film diretto da David Lowery in questo frangente, è il conflitto interiore di Wendy, decisamente non disposta a crescere e sulla soglia di un trasferimento in collegio, lontana dal mondo dell’infanzia e dalla leggerezza che l’ha sempre resa felice sino a questo momento. L’incontro con Peter Pan (Alexander Molony) avviene proprio qui come in ogni rivisitazione del romanzo.

Tuttavia, è totalmente annullata l’attrazione incisiva tra il ragazzino mai cresciuto e la giovane londinese. In tutta sorpresa, Trilly (Yara Shahidi) e Wendy si rapportano sin da subito con un approccio amichevole.

Interessante è il grande approfondimento di Lowery nei confronti del personaggio di Capitan Uncino (Jude Law). Come per diversi live action Disney, si cerca di ripercorrere le origini del villain e di riportare le motivazioni che lo hanno reso tale. Una scelta, questa, che può soddisfare molti degli interrogativi dei bambini che hanno sempre visto il cattivo Uncino agire per sterile invidia nei confronti di Peter Pan dalla rielaborazione animata Disney del 1953 in poi.

Tra le innovazioni degne di nota vediamo il ruolo dei personaggi femminili (Wendy e Giglio Tigrato) che non sono mai donzelle in difficoltà salvate da Peter Pan come in tante altre rappresentazioni.

Questa scelta interessante però, rischia di appiattire completamente il carisma e la personalità dello stesso Peter, svilito e oscurato dall’inizio alla fine della pellicola.

Bello per gli occhi e per l’umanità è stato vedere tante rappresentazioni diverse nella squad dei bimbi sperduti. Non tutti sono bianchi e ci sono anche delle bambine. Inoltre, appartiene agli sperduti il primo giovane attore con la sindrome di Down in uno ruolo del genere nel mondo Disney.

Nota dolente: Wendy show?

Siamo sicuri che tutto questo sottolineare la grande forza e personalità di Wendy sia un bene? I risvolti sulla scrittura del personaggio non sono affatto convincenti. Se in un primo momento è la ragazza troppo cresciuta che non vuole cambiare, le bastano pochi minuti sull’isola per stravolgere la sua idea, facendo la morale a tutti.

Non subisce la fascinazione e l’attrazione verso l’isola e i suoi abitanti come siamo abituati a vedere, anzi. Subito non si sente apposto in nessun posto ed inizia a trascinare gli altri prima del tempo nella sua visione di “bambina che insegna agli altri bambini che si dovrebbe crescere”. Un salto nel vuoto che non risulta graduale e che non ti fa vivere, da spettatore, nessun sogno dell’isola che non c’è.

Allo stesso tempo, il “povero Peter Pan” è rappresentato con delle vene più oscure e malinconiche. Queste, se da una parte sono interessanti per scavare nel personaggio, dall’altra, vengono continuamente bacchettate e scoperte inverosimilmente da Wendy.

In questo senso, la sceneggiatura lascia un po’ a desiderare poiché, non solo non soddisfa le aspettative dello spettatore, ma non lo sorprende, anzi. Questo tentativo di rivalsa e risalto del personaggio di Wendy è ben riuscito? Decisamente meno fiabesca e principesca delle altre rappresentazioni, si. Tuttavia il rischio è quello di vederla irrealistica e “troppo sveglia” persino per l’Isola che non c’è.

Dov’è l’Isola che non c’è?

Una bella ripresa iniziale della panoramica dell’isola, uno squarcio rapidissimo di quelle che dovrebbero essere le sirene e una Giglio Tigrato in sella al suo cavallo bianco, mentre una nave volante domina sullo schermo per forse più di un’ora di film. E’ davvero questa la rappresentazione dell’isola che ci aspettavamo nel 2023? La peggiore.
Evidentemente c’è stato un largo taglio nei riguardi del budget disponibile. Questo tanto da ridurre le scene da girare “sul pelo dell’acqua” dell’isola o nella bellissima foresta che tutti ci aspettavamo di vedere.

Le ambientazioni (pochissime) lasciano un vuoto incolmabile nell’occhio dello spettatore. Chi guarda vorrebbe non solo vedere più natura tra mare e boschi, ma anche più creature e abitanti.

I bimbi sperduti sono tutti marginali e non caratteristici dal punto di vista della personalità. Le sirene non ci sono, la ciurma di pirati è solo uno sfondo dove ogni tanto spicca il nome di Spugna.

Inoltre, i fratelli di Wendy, in passato evidenziati per la loro tenerezza, o la loro intelligenza, qui sono letteralmente due zavorre senza personalità. Ma, soprattutto, non si vede mai la tribù di Giglio Tigrato. Un’occasione sprecata, un vuoto intrascurabile che odora di incoerenza in un 2023 che avrebbe dovuto rimediare all’impropria rappresentazione dei nativi che si era lanciata sullo schermo nel lontano 1953.

Per il resto, non si può dire che il film non sia nel complesso godibile. Gli elementi aggiuntivi sono “tutto sommato” piacevoli nel corso della visione. Il problema sono per lo più le numerose mancanze, i vuoti.

Tra questi, non si può non citare il meraviglioso legame tra Wendy e Peter, qui evidenziato forse negli ultimissimi minuti di film. Tutto in una scena un po’ stucchevole e pregna di messaggi moralisti come quello di dover stare “vicini alla propria mamma.” Strano che, tra i tanti elementi di innovazione, non si abbia deciso di sorpassare questo topos “della madre sempre presente”. Anzi è sottolineato anche forzatamente per buona parte del film.

Se per tanti versi il tentativo di inserire delle novità è stato funzionante, per altri passano in sordina elementi fondamentali che nel corso dell’ultimo secolo hanno reso Peter Pan una leggenda dell’intrattenimento.

E se la Disney aveva tra le mani gli strumenti giusti per riportare a sé l’audience almeno con degli elementi nostalgici quali, tra i tanti, le meravigliose musiche della colonna sonora del 1953, qui c’è solo un accenno di “You Can Fly”: ennesima occasione sprecata.

Sofia Pucciotti

Seguici su Google News